domenica 14 settembre 2008

I soliti goal regalati all'Inter...


Ecco qua l'azione incriminata.

Per gli interisti è goal.... ma solo per loro. Solo gli Interisti vedono la palla totalmente al di là della linea...

Eeeh... l'onestà... che bella qualità!
Peccato che non sia di casa ad Appiano Gentile e via Durini.. nonchè neppure nel Pirellone.

E' questo sarebbe goal?
Ma fatemi il piacere.

Dite grazie a Tronchetti Provera e alla Telecom se siete dove siete. Dite grazie a Guido Rossi.
Siete nati nel 1908 e nel 1910 avete avuto il vostro primo Scudetto di Cartone...e poi venne il 1922 quando sareste dovuti retrocedere.. ma i soliti agganci.. vi hanno tenuto a galla... che ladrata!!!! Poi vennero i passaporti falsi.. ed i falsi in bilancio.. ma i soliti "agganci".. mettono tutto a tacere... MA NOI NON DIMENTICHIAMO.

29, NON UNO DI MENO.

mercoledì 6 agosto 2008

Inter: assoluzione? No, prescrizione

Si è generata confusione nell’interpretazione del comunicato con il quale il Procuratore Federale Palazzi ha archiviato il fascicolo aperto dall'Ufficio Indagini sui presunti pedinamenti ordinati dall'Inter a carico di De Santis, Vieri ed altri giocatori.
Per esempio sul sito della Gazzetta, il 23 giugno, il titolo è stato "La Figc assolve l'Inter" e l’articolo si limitava a riportare il comunicato aggiungendo solo "La vicenda aveva suscitato clamore nei mesi scorsi, e uno dei giocatori coinvolti, Christian Vieri, dopo aver sostanzialmente ignorato le scuse del presidente dell'Inter Moratti, ha chiesto un risarcimento danni di 21 milioni di euro all'Inter e alla Telecom"

Più attento, invece l’editoriale di Andrea Pavan, su Tuttosport, dal titolo "RETROSCENA INQUIETANTI":

Le liste di prescrizione, nella vecchia Italia, ormai sono lunghe e piene quanto quelle di proscrizione nell’antica Roma. Gli ultimi imbucati - nelle prime e giammai nelle seconde, al di là delle inguaribili sindromi nerazzurre da complotto - sono da ie­ri l’Inter e il suo presidente Moratti. Le cui posizioni, in merito alle denunce di spionaggio ai danni di dipendenti propri e tes­serati federali, sono state archiviate dal procuratore Palazzi «non essendo emerse fattispecie di rilievo disciplinare procedi­bili ovvero non prescritte». Laddove «ovvero», in giuridichese, sta per «oppure». Nella lingua del popolo e non dei legulei, si­gnifica che parte dei pedinamenti - attenzione: non negati, né de­finiti legittimi - non è perseguibile perché sono scaduti i termi­ni, mentre l’altra parte sarebbe riconducibile per responsabilità (o comunque per conoscenza diretta, vedi il contatto con l’arbi­tro dissidente Nucini) a persone che non ci sono più. Una perso­na, diciamolo: il mai abbastanza compianto Giacinto Facchetti. Il dirigente più volte citato negli interrogatori degli uomini Te­lecom (Tavaroli e Cipriani) coinvolti in uno scandalo ben più grande di quello calcistico e comparso nei resoconti delle audi­zioni dello stesso Moratti presso l’Ufficio Indagini della Figc. Una bandiera, Facchetti, che evidentemente sa fare ancora del bene alla sua Inter. Ora, fermi restando il principio del garanti­smo prima delle sentenze e il rispetto a esse dovuto una volta emesse, è chiaro che quando la giustizia non giudica perché non può farlo - e dunque assolve per l’impossibilità di procedere e non perché il fatto non sussista o non costituisca reato - la sod­disfazione può riguardare unicamente chi del provvedimento beneficia e non tutti gli altri

Ancora più completo un articolo dello stesso Andrea Pavan, pubblicato sempre su Tuttosport del 23 giugno, che pubblichiamo integralmente:

Intercettazioni: la FIGC riconosce le accuse anche se la prescrizione salva l’Inter
MORATTI SPIA MA LA FA FRANCA
Il Patron: “Non c’era da preoccuparsi e per le plusvalenze finirà nello stesso modo”
MILANO. «Sono preoccupato, per la storia delle plusvalenze, quanto lo ero per le voci sui pe­dinamenti: e avete visto come una certa insinuata situazione si sia risolta totalmente a favo­re dell’Inter. Allo stesso modo si concluderà la vicenda riguar­dante i bilanci. Dunque sono contento, non preoccupato». Co­sì parlò Massimo Moratti, ver­so sera, aprendo l’assemblea straordinaria dei soci nerazzur­ri. Un incipit volto a rassicura­re la platea («operazioni ammi­nistrative sempre trasparenti e corrette») prima di galvanizzar­la con l’aumento di capitale («uno dei tanti, importanti, pun­tuali ») e con il contro-ribaltone Suazo. Un commento goduto al comunicato emesso poche ore prima dalla Figc. Questo: «Il Procuratore federale, esamina­ta la relazione dell’Ufficio Inda­gini sugli accertamenti richiesti dalla Procura federale in ordi­ne a numerosi articoli di stam­pa riguardanti il comportamen­to di dirigenti della società In­ternazionale F.C. S.p.A. nei con­fronti dell’arbitro Massimo De Santis, dei calciatori Christian Vieri, Adrian Mutu, Luis Ro­naldo Delima Nazario, Vladi­mir Jugovic e del tesserato Mariano Fabiani, ha disposto l’archiviazione del procedimen­to, non essendo emerse fattispe­cie di rilievo disciplinare proce­dibili ovvero non prescritte». In sostanza, spiare e pedinare re­sta in assoluto un’attività illeci­ta, ma se non si può procedere non comporta sanzioni. E qui, secondo il prossimo Superpro­curatore Palazzi, procedere non si può. Perché l’opera di vigilan­za fuori dal campo - emersa nel caso di Vieri da una fattura in­terista intestata alla società Po­lis d’Istinto e per gli altri dagli interrogatori di Tavaroli e Ci­priani, detective della security Telecom allora presieduta da Tronchetti Provera e dal suo vice Buora, entrambi nell’orga­nigramma di Palazzo Durini ­risale a tempi caduti in prescri­zione, che al momento è ancora di 2 anni per i club e di 4 per i lo­ro tesserati. Le presunte inda­gini svolte invece dall’Inter sul conto del fischietto e del diri­gente moggiani (la celeberrima Operazione Ladroni) sarebbero riconducibili, come emerso da dichiarazioni e deposizioni, al­l’iniziativa difensiva del defun­to presidente Facchetti, all’e­poca attivato dall’outing dell’ar­bitro Nucini. La Procura non nega i fatti né li definisce leciti: si limita a constatare la prescri­zione e la non procedibilità. Chi si attendeva condanne, resta co­me sono rimasti gli avversari di Berlusconi alle sentenze di al­tri processi o chi si aspettava di vedere punita per doping la Ju­ventus. Si conclude così il procedimento sportivo riguardante anche i pedinamenti. Ma i legali delle «vittime» continuano la causa civile con la richiesta dei danni. Un’archiviazione pesan­te. Poiché non smonta l’impian­to accusatorio, pur senza dargli corso nell’impossibilità - o quan­tomeno nella scarsa determina­zione a coltivare il teorema del «non poteva non sapere» - di porre a confronto in un dibatti­mento sportivo le contraddizio­ni tra i risvolti di un grande processo penale (quello appunto di Telecom) e la correlata, ri­duttiva versione fornita da Mo­ratti a Borrelli. Il capo degli 007 federali, la cui relazione in merito era stata molto dura, non poteva non configurarsi a ieri nei panni dello sconfitto, o se non altro del deluso: come i suoi vice. Danilo Buongiorno, avvoca­to di Vieri che come risarcimen­to ha chiesto all’Inter 9 milioni e alla Telecom 12, si riserva di «leggere le motivazioni: ritengo che non abbiano esaminato con attenzione l’evidenza, e sarei sorpreso se avessero archiviato senza esaminare gli atti del pro­cesso penale; in tal caso, richie­derò di farlo al procuratore fe­derale. Credo che anche l’Asso­calciatori sia un po’ arrabbiata, stante la raccolta illegale di informazioni su alcuni suoi affi­liati. In ambito civilistico, per noi nulla cambia: l’istanza pro­cede. Ricordiamoci che Telecom, costituendosi in giudizio, ha chiamato due volte in causa l’Inter. Ma ripeto, cercherò di far riaprire il caso anche in sede sportiva». Dall’Aic, come prima reazione, confermano il soste­gno a Vieri violato nella privacy. In quanto a De Santis, al quale Moratti aveva rinfacciato - co­me all’ex designatore Bergamo - certi riferimenti a Facchetti, ha fatto rilevare tramite il lega­le Silvia Morescanti «le con­traddizioni dello stesso Moratti, che si è più volte smentito», per poi aggiungere di suo: «A me in­teressa l’indagine di Milano, nella giustizia sportiva non ho più fiducia. Troppe cose qui ven­gono archiviate, mentre altre vengono portate alla luce anche senza prove o addirittura senza indagini». Insomma, colpi di spugna a seconda di chi deve la­vare le colpe o levarsi le maga­gne. Tempi brevi ma soprattutto esiti meno ponziopilateschi do­vrebbe avere il caso delle psu­svalenze, che non turba solo Moratti. Il quale, a ogni buon conto, ieri ha ampliato il suo concetto così: «La soddisfazione che molte persone hanno prova­to per il nostro ingiusto coinvol­gimento in queste vicende con la magistratura ordinaria e sportiva (palese il riferimento a Capello e Moggi, ndr) sarà di breve durata. Non accadrà nul­la di antipatico per la nostra so­cietà, alla fine avremo ovunque l’assoluzione ». Forse voleva dire l’archiviazione.

Moggi su: Tavaroli, dossier Telecom e Palazzi

Le ultime dichiarazioni di Tavaroli su Telecom e dintorni dovrebbero aver fatto fischiare le orecchie al superprocuratore Palazzi. Però i fischi Palazzi deve averli sentiti sonoramente dopo che Fulvio Bianchi, nella sua rubrica “Spy Calcio” in Repubblica.it, è andato diritto al nocciolo del problema, esprimendo la convinzione che il superprocuratore tornerà ad occuparsi dell’inchiesta sportiva sul dossier Telecom dopo che la chiusura delle indagini della magistratura di Milano ha fatto uscire “carte nuove”. Palazzi, in sostanza, dovrebbe riprendere, ovvero dovrebbe sentire il dovere di riprendere l’inchiesta sportiva a suo tempo chiusa, facendo un percorso simile a quello che ha fatto dopo la conclusione dell’inchiesta di Napoli, aprendo il fronte di “Calciopoli 2”.
Vedremo cosa accadrà, ma al momento va registrato (e rimarcato) quello che scrive Fulvio Bianchi, con una chiarezza che mi pare solare: “Sono uscite carte nuove, si parla di intercettazioni anche nei confronti dell’ex arbitro Massimo De Santis e dell’ex numero uno della Figc, Franco Carraro. Nulla si sa sul contenuto di quelle intercettazioni ma intanto è apparso tempo fa un dossier, chiamato “ladroni”, dove la vita (privata) di De Santis era stata messa sotto indagine. Un lavoro (proibito) con visure catastali, foto. Gli spioni di Tavaroli erano andati anche a vedere negli alberghi dove De Santis soggiornava prima delle partite. Non avevano scoperto nulla: ma perché e per conto di chi lo avevano fatto? L’ex arbitro, con il suo avvocato, Silvia Morescanti, aveva chiesto le carte ai pm di Milano, in attesa di costituirsi parte offesa e di chiedere i danni (milioni di euro, ovviamente). Ora chiederanno anche le intercettazioni. Una brutta storia, ha detto la Morescanti”. E a questo punto Bianchi si chiede che farà Palazzi: “Ha già centinaia di fascicoli aperti, oltre 600: un lavoro immane. Vorrà rimettere ordine anche su questa storia? Vorrà vederci chiaro? In passato, chissà perché, era stato così veloce”.
L’interrogativo usato dal cronista sembra sottintendere una buona carica di pessimismo sulle prossime mosse del superprocuratore, e quel “chissà perché” lo raccomando a chi è sempre voglioso di misteri. Ma Fulvio Bianchi è andato oltre ed un altro passo merita di essere riportato, laddove parlando di “Calciopoli 2” ricorda i patteggiamenti fatti con la Juve, e con Paparesta padre e Paparesta figlio, sottolineando che “le carte di quei patteggiamenti non si sono mai viste, le ha chieste l’avvocato dell’ex arbitro Bertini ma non gliele hanno date con la ridicola motivazione che “non erano rilevanti ai fini del decidere”. Per Bianchi, “qualcosa non torna”. “Il processo Sim si è tenuto a porte chiuse, sentenza solo la prossima settimana. Sentenza delicata che porterà ad altri processi (sino al Tar). Pare che qualche avvocato dopo aver abbandonato l’aula abbia intenzione di fare un esposto alla Corte di giustizia della Figc e addirittura alla Procura della Repubblica”.
Tutte queste opinioni di Bianchi avrei potute tirarle fuori io per primo, ma nel caso mi ci appoggio, perché provenienti da una terza parte assumono di sicuro maggiore rilevanza. Nel frattempo sono state rese note le deposizioni fatte ai magistrati da Tronchetti Provera e da Massimo Moratti, deposizioni naturalmente autoassolutorie.
“Tavaroli - afferma Tronchetti Provera - non ha mai avuto nessuna indicazione, né da me, né da Moratti penso, assolutamente, di occuparsi della società di Moggi, ma neanche da Facchetti penso che abbia avuto indicazione di occuparsi della società di Moggi”. Detto che la società non espressamente indicata era la Juve, ma forse non ce n’era bisogno, segnalo ai lettori quel “penso” molto ripetuto che dalle mie parti indica una incertezza solo presunta.
Rendo atto a “Repubblica” di aver scoperchiato con le dichiarazioni di Tavaroli un vaso assai più colmo di quanto qualche ingenuo (?) poteva pensare e di aver smantellato la convinzione, alimentata da qualche parte interessata, che l’affaire Telecom fosse solo “un budino malfatto dove all’opera era solo una combriccola di tre persone che voleva lucrare un po’ di denaro per far bella vita e che avrebbe abusato dell’ ingenuità di Tronchetti Provera e Carlo Buora”, il quale ultimo era amministratore delegato di Telecom ed aveva cariche di peso anche all’interno del cda dell’Inter, cioè sapeva tutto di quanto accadeva da una parte e anche dall’altra.
Ora abbiamo conferma che lo scandalo Telecom è di proporzioni enormi, e in esso ha il suo cantuccio importante il versante calcistico e segnatamente il filone interista. Nelle sue dichiarazioni Tavaroli illustra il suo stretto, diretto e duraturo contatto con i vertici di Telecom, vale a dire con Tronchetti Provera e Buora, e dunque nessuno dei due, e tantomeno il primo, può dire che nulla sapeva di quello che Tavaroli faceva, che era poi quello che gli veniva ordinato, a cominciare dalle informazioni e dai dossier, anche in ambito calcistico, che Tavaroli chiedeva ad Emanuele Cipriani, che è quel Cipriani titolare della Polis d’Istinto, cui furono commissionate le indagini, ad esempio, a carico di Vieri, ma anche a riguardo della Gea, della Juve, del sottoscritto, di Mutu. E a cosa potevano servire quelle indagini se non all’Inter, che infatti le pagò, anche se il patròn nerazzurro messo alle strette ammise solo quelle per Vieri? Questi nomi appaiono nelle carte della Procura di Milano, ora a disposizione di tutti i 34 indagati della vicenda Telecom.
Nell’elenco di esponenti del calcio finiti nel mirino della Security Telecom c’erano il sottoscritto e tanti altri, perché “per sapere se i trofei bianconeri erano stati vinti all’insegna della trasparenza” (e che titolo aveva Tavaroli, o per esso i suoi committenti, per fare quest’indagine?), il capo della Security Telecom mise sotto controllo persino il cellulare dell’allora presidente della Figc Carraro, quelli della Gea, degli arbitri Salvatore Racalbuto e Massimo De Santis. “Evidente il nesso - a giudizio anche di Repubblica - tra queste operazioni e il rapporto tra Marco Tronchetti Provera e l’Inter dell’amico Massimo Moratti. Tavaroli, per capire il motivo di tanti insuccessi inanellati dalla presidenza morattiana, si sarebbe mosso ovviamente con i suoi strumenti”.
A questo punto non c’è chi non veda che a tutti potevano essere affidate le intercettazioni per Calciopoli, meno che alla Telecom che, com’è noto, in migliaia di telefonate non ne trovò una, che sia una, in cui comparisse l’Inter, qualcuno dei suoi dirigenti, o dei suoi calciatori. Eppure fermissima fu la dichiarazione del designatore Bergamo che testimoniò che lui veniva chiamato a telefono da tutti e che tutti egli riceveva, anche quelli dell’Inter. Quando io sottolineai questa discrepanza, che per essere verosimile sarebbe dovuta essere molto più che miracolosa, mi si obiettò da parte di un foglio rosa che il club cui erano indirizzate le mie osservazioni era adamantino, al di sopra di ogni sospetto, e fu, anzi, da quel momento che per l’Inter venne coniata l’etichetta di “banda degli onesti”.
Questa è storia nota, ma non è mai tardi e inutile rimarcarla, perché la memoria non è un esercizio molto seguito nel calcio, quando scientificamente la si vuole trascurare. E per dare una rinfrescata all’argomento posso ricordare un’altra testimonianza di Tavaroli che risale all’11 ottobre di due anni fa ma che in tema mi sembra assai pregnante. Nell’interrogatorio reso ai magistrati Tavaroli riferì che “i dirigenti dell’Inter” gli chiesero di fare indagini sull’arbitro De Santis e, a richiesta di maggiori dettagli, precisò di aver parlato con l’allora presidente Giacinto Facchetti e che a passare la cornetta era stato il patron Massimo Moratti in persona. In un intervista all’Espresso Moratti sostenne di non aver mai incontrato Tavaroli e di non essere stato a conoscenza del “dossier De Santis”. Al “Corriere della sera magazine” aveva invece detto il contrario. Così va il mondo, ma dubito che ci possa essere ancora qualcuno disposto a credere all’estraneità dell’Inter negli affari della premiata ditta Telecom e della sua Security Service.

Luciano Moggi

[fonte: www.papanews.it]

Nota: giova rileggere quanto a suo tempo deciso da Palazzi, sui dossier illegali, e spiegato nei seguenti articoli: inter, assoluzione..no, prescrizione

venerdì 11 aprile 2008

All Star Gonzo 2009

1° turno preliminare - 256 squadre
2° turno preliminare - 128 squadre
32/i di Finale - 64 squadre
16/i di Finale - 32 squadre
8/i di Finale - 16 squadre
4/i di Finale - 8 squadre
Semi-Finali - 4 squadre
Finale - 2 squadre

15 turni (7 turni andata/ritorno - finale unica)

256 slot a disposizione per partecipare all'ALL STAR GONZO per i Gonzo Allenatori.

Le migliori 128 leghe del Gonzo in base alla MEDIA DELLE PRIME 8 SQUADRE.
Dividiamo le Leghe in base al numero delle Squadre partecipanti.

128 prime classificate per "media gonzo" alla data stabilita
128 seconde classificate per "media gonzo" alla data stabilita.
* si intendono prima e seconda classificata di una stessa Lega! *

Una sorta di Classifica UEFA.

VENGONO QUINDI PREMIATE LE LEGHE IN CUI VI E' UNA MAGGIORE COMPETIZIONE.
(per es. la Liga e' ovviamente piu' competitiva della Premier Liga Russa)

*La squadra vincitrice dell'All Star l'anno precedente, qualora sia ancora "attiva",
prendera' il posto dell'ultima classificata nella Media Gonzo, per la Lega corrispondete
(da 8,..12..o 16 squadre), in base alla Lega a cui partecipa nella stagione in corso.
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Dividiamo in percentuale quanti slot assegnare alle leghe da 8, 10, 12,14 e 16

Leghe da 08 = 16 posti +16 (seconde classificate)
Leghe da 10 = 32 " +32 "
Leghe da 12 = 32 " +32 "
Leghe da 14 = 32 " +32 "
Leghe da 16 = 16 " +16 "

TOTALE 256 posti (prime e seconde classificate)
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1° Turno preliminare

prima di una lega da 8 VS seconda di una lega da 8
prima di una lega da 10 VS seconda di una lega da 10
prima di una lega da 12 VS seconda di una lega da 12
prima di una lega da 14 VS seconda di una lega da 14
prima di una lega da 16 VS seconda di una lega da 16

2° Turno preliminare

Leghe da 08 = 16 posti
Leghe da 10 = 32 "
Leghe da 12 = 32 "
Leghe da 14 = 32 "
Leghe da 16 = 16 "
(TOTALE 128 posti)

FASCIA A: 16 squadre leghe da 8 VS 16 squadre leghe da 10
FASCIA B: 16 squadre leghe da 10 VS 16 squadre leghe da 12
FASCIA C: 16 squadre leghe da 12 VS 16 squadre leghe da 14
FASCIA D: 16 squadre leghe da 14 VS 16 squadre leghe da 16

32/i di Finale

FASCIA A VS FASCIA B
FASCIA C VS FASCIA D

16/i di Finale

8 migliori/vincitrici FASCIA A VS FASCIA B VS 8 peggiori/vincitrici FASCIA C VS FASCIA D
8 migliori/vincitrici FASCIA C VS FASCIA D VS 8 peggiori/vincitrici FASCIA A VS FASCIA B

8/i di Finale

si applica il sorteggio o qualsiasi altro metodo fattibile

4/i di Finale

tabellone tennistico classico

1° VS 2°
3° VS 4°
5° VS 6°
7° VS 8°

Semi-Finali

vincitrice 1°vs2° VS vincitrice 3°vs4°
vincitrice 5°vs6° VS vincitrice 7°vs8°

FINALE

squadra A VS squadra B

giovedì 13 marzo 2008

Dossier doping: la verità sul processo alla Juventus

Il 29 marzo 2007, dopo innumerevoli rinvii, si conclude finalmente il processo alla Juventus. Con una mossa a dir poco sconcertante il pm Guariniello, sconfitto in sede d’Appello, aveva deciso di fare ricorso in Cassazione. Raro che un pubblico ministero prosegua fino al terzo grado dopo una sentenza di piena assoluzione.
In sintesi, la Suprema Corte respinge il ricorso per quanto riguarda la somministrazione di eritropoietina: il fatto non sussisteva e continua a non sussistere. Ora ci sarebbe da zittire tutti quei giornalisti (?) che per anni si sono riempiti la bocca parlando di “Juve epo-cale” e di “epo-pea bianconera” con una sfacciataggine ed una presunzione senza confini.
Eppure qualcuno ha trovato ugualmente il modo di rialzare la testa: la sentenza della Cassazione lascia intendere che si sarebbe anche potuto discutere il ricorso in merito all’abuso di farmaci ma che sarebbe stato completamente inutile, visto il sopraggiungere della prescrizione. Questo ha dato modo ai più ciarlieri di parlare di “assoluzione per prescrizione”, nell’ennesimo slancio forcaiolo e giustizialista. Pare invece di trovarsi di fronte ad una sentenza cerchiobottista: la Juve non è colpevole ma Guariniello non ha lavorato a vuoto. I giornali invece insistono menzionando la prescrizione, ma parlando tra le righe e a denti stretti del fallimento dell’accusa di doping vero e proprio, ovvero dell’uso di Epo. Una sconfitta in piena regola, solo parzialmente mitigata dall’illusione che l’abuso di farmaci possa “in astratto” essere considerato pratica dopante. Abuso di farmaci, come si è visto, praticato da tutti, come e più della Juventus.
Strano infine che nessun organo di informazione si sia premurato di sottolineare un fondamentale particolare: la Cassazione non entra nel merito delle sentenze, «Non giudica sul fatto, ma sul diritto: ciò significa che non può occuparsi di riesaminare le prove, ad esempio, ma può solo verificare che la procedura relativa ai gradi precedenti del giudizio si sia svolta secondo le regole». Il processo, al limite, si sarebbe dovuto rifare. Quindi, dov’è la tanto millantata “assoluzione per prescrizione» (“solo la prescrizione salva la Juventus” titola il Corriere della Sera)? Semplicemente era inutile proseguire, ma questo probabilmente un concetto che non andrà mai giù a certi scrivani che hanno nella Juventus la loro ragione di vita (e di retribuzione).
La storia è finita e non rimane che citare le parole dell’avvocato Chiappero:

E’ stato un grande successo che sconfessa anni di gogna mediatica perché, con riferimento al tema principale del processo, e cioè l’accusa di somministrazione di Epo, il ricorso del procuratore generale è stato addirittura dichiarato inammissibile.

e del dottor Agricola:

Per quanto concerne l’altra parte della sentenza è finalmente terminato il doloroso iter che vedeva imputato solo me per l’utilizzo di farmaci che tutti i medici dello sport senza eccezioni hanno usato negli anni oggetto d’indagine.

Ultimo commento ad Antonio La Rosa e ad un suo articolo, apparso su Juventus1897.it il 16 giugno 2007:

Leggendo la sentenza sul processo Agricola, ho trovato a pag. 26, una perla che vi riporto:
“Le condotte incriminate dall’art. 1 (legge 401/89), sono quindi due: la prima di corruzione in ambito sportivo ...la seconda ...è costituita da una generica frode e rimane integrata dal mero compimento di <> ... in quest’ultimo caso non costituisce "una disposizione a più norme, ma una norma a più fattispecie ... l’ipotesi ha infatti una latitudine ... assai ampia e non certo comparabile con la puntuale previsione di cui al primo comma ... la natura fraudolenta dell’atto esclude qualsivoglia violazione del principio di determinatezza e di tipicità”!
Mi scuso in anticipo con i lettori se per natura dell’argomento dovrò essere alquanto tecnico, per gli argomenti, ma ritengo fondamentale commentare questo passaggio della sentenza, autentico attentato a principi fondamentali del diritto penale.
Da studentello, il mio grande professore di diritto Penale (Enzo Musco), mi insegnò che il principio fondamentale del Diritto Penale è il cosiddetto “principio di legalità”: un reato esiste perchè esiste una previa norma di legge che lo qualifichi come tale, ma per qualificarlo come tale la norma deve essere "tassativa" ossia sufficientemente determinata nella fattispecie (ossia la descrizione del fatto-reato).
Tempo sprecato il mio, forse era meglio che mi davo ai divertimenti anziché perdere tempo nei manuali e a lezione, tanto poi arriva la Cassazione a dire l’esatto contrario, ossia che basta ipotizzare fraudolenza in qualunque comportamento fraudolento, perché proprio qualunque comportamento possa essere ritenuto reato.
E’ sufficiente solo che un Giudice si convinca che quel comportamento è fraudolento, e dunque diventa reato, anche a costo di arrivare a sentenze assurde al termine di processi assurdi, e cercherò di spiegarne le ragioni. La legge 401/89 venne emanata a seguito dello scandalo "calcioscommesse 2", e in considerazione del fatto che tutti gli imputati dello scandalo “calcioscommesse 1” (quello che portò il Milan e la Lazio in B), vennero assolti, dato che all’epoca non esisteva una legge che punisse fatti del genere.
Quindi legge che nasceva dalla necessità di reprimere quei fatti che, compiuti da tesserati, giocatori, dirigenti, estranei, etc., producevano una alterazione dei risultati sportivi, per far conseguire degli utili o garantire interessi di vario genere (che so, scommesse clandestine, promozioni o retrocessioni mirate, vittorie di partite decisive, o anche vittorie in gare senza rilievo di classifica): come dire, forma di corruzione nello sport: l’art. 1 infatti recita: “Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), dall’Unione italiana per l’incremento delle razze equine (Unire) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione ...”.
La questione interpretativa si pone dunque per quell’inciso "compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo", che (mi scuso per chi tecnico non è) per il noto principio della "tassatività", non può che essere un atto equiparabile all’offrire o promettere denaro e/o altri vantaggi, al fine di raggiungere un risultato diverso.
In altri termini, la “ratio legis” sta nella combutta tra più soggetti per l’alterazione di un risultato sportivo, nelle forme più disparate, ma sempre a quel fine: in parole povere, un accordo tra giocatori, che so, per far segnare più gol ad uno in modo da fargli vincere la classifica cannonieri, e dunque farlo innalzare di valore, anche se non rientra nel caso della corruzione vera e propria, sarebbe comunque una frode sportiva.
E’ evidente che, posto così il problema, l’uso di farmaci (o l’abuso, o anche l’uso di sostanze dopanti, come si voglia preferire), non è in alcun modo inquadrabile nel reato di frode sportiva, dato che non c’è la "concertazione" tra soggetti per alterare il risultato, non c’è il promettere o dare denaro o altri vantaggi, non c’è insomma l’azione mirata ad alterare il risultato sportivo, per l’ovvia ragione che l’uso di quei prodotti magari aumenta il rendimento dell’atleta, ma non produce di per sè l’alterazione del risultato sportivo, che in effetti può anche non accadere.
Cosa di cui era ben convinta la Cassazione, che in una sentenza del 1996, escludeva dalla frode sportiva, l’uso di sostanze dopanti da parte dei ciclisti. Poi arrivò ... Guariniello!
La sua indagine a Torino, dopo le famigerate dichiarazioni di Zeman, partì inizialmente come ipotesi di reato relativa alla tutela della salute del lavoratore, che sarebbe stata messa a rischio dall’uso non giustificato di farmaci; poi, non essendo l’ipotesi tale da suscitare clamore mediatico, interviste, conferenze stampa e quant’altro, il nostro Guariniello, uscì il coniglio dal cilindro: l’uso di questi farmaci, anche se leciti, ma in dosi non giustificate o ritenute non giustificabili, non può che essere inquadrato nell’atto fraudolento al fine di alterare un risultato sportivo, e dunque costituisce frode sportiva.
Cosa che nella sua requisitoria ha in sostanza detto: mi ricordo a memoria che ebbe a dire una frase tipo “noi non capivamo perchè dopo nove anni la Juventus era tornata a vincere”: insomma la vittoria come frutto di uso di farmaci, ed allora mi chiedo perchè non si sia, Guariniello, insospettito di quel Milan che aveva vinto per tre anni di fila, prima della "dopata" Juventus!. Teoria rimasta isolata, tanto che la legge sul doping fu emanata nel 2000, e proprio perchè si ritenne che in effetti c’era un vuoto legislativo sul punto, che andava colmato con una legge ad hoc, molto più rigorosa, dato che la fattispecie è a dolo generico (è sufficiente solo l’assunzione di farmaci illegali per commettere reato), mentre la frode sportiva è a dolo specifico (l’atto deve essere finalizzato alla alterazione del risultato, altrimenti non è fraudolento).
Tornando alla sentenza della Cassazione, il pericolo di quel principio che ho evidenziato all’inizio, sta proprio nel fatto che, non potendosi applicare retroattivamente una legge, quella del 2000, che peraltro dichiarò illeciti certi farmaci leciti fino a quel momento, tende a fare rientrare dalla finestra ciò che dalla porta principale non può entrare, ossia il ragionamento che l’uso o abuso di farmaci possa essere finalizzato all’alterazione del risultato sportivo, e dunque rientrante nella previsione della legge 401/89.
La cosa produce una pericolosissima estensione della fattispecie, dato che se l’atto fraudolento può essere commesso non da più persone, in concertazione fra di loro, bensì da sole persone appartenenti ad una sola squadra (come nel caso che ci occupa), d’ora in avanti qualsiasi atto che abbia come esito l’alterazione del risultato sportivo, può essere ritenuto fraudolento e dunque frode sportiva.
Come dire, si sta trasformando l’art. 1, nell’inciso che ho evidenziato, in una specie di norma penale in bianco, in violazione del principio di legalità, dato che la qualificazione dell’atto come fraudolento diventa un giudizio discrezionale e non più vincolato a parametri ben precisi.
Il tutto per far dire ai media che la Juventus in fondo era colpevole ma si è salvata per prescrizione, insomma per accontentare l’antijuventinismo dilagante.
Insomma, qui non si parla più di calcio da bar sport, ma di diritti inviolabili, di principi costituzionali calpestati, di certezza del diritto mandata a quel paese: sta qui il pericolo di pronunce come quella di cui discutiamo.
In sostanza: si sono letteralmente inventati una ipotesi di reato, pur di far dire che la Juve si dopava. Chiaro?

si ringrazia il dr. zoidberg

mercoledì 27 febbraio 2008

Inter: La (non) retrocessione del 1922

L’anno calcistico 1921/22 è anomalo, non si disputa un solo campionato ma due, organizzati da due distinte federazioni: il Cci (Confederazione Calcistica Italiana) e la Figc (Federazione Italiana Gioco Calcio). L'Inter partecipa al campionato Cci, che si conclude il 30 marzo 1922, classificandosi all’ultimo posto nel girone B della Lega Nord. La classifica completa recita:

Genoa 37, Alessandria 28, Pisa 27, Modena 26, Padova 23, Torino 20, Casale 20, Legnano 20, Savona 20, Venezia 17, Brescia 15, Internazionale 11.

Per quell’anno e per quel campionato non erano previsti spareggi ma la retrocessione diretta per le ultime classificate di ogni girone. Insomma, un annata nera per l’Inter: retrocessione con peggior attacco e peggior difesa. Ma quando ormai pare certo il declassamento, da più parti si alzano voci di protesta e malcontento riguardo alla bipartizione del torneo calcistico nazionale. Per l’anno successivo, si dice, è necessario rivisitare il sistema e tornare ad un unico campionato. Non tutti sono d’accordo e il dibattito si inasprisce causando uno stallo ricco solo di infruttuose polemiche. La situazione viene sbloccata da Emilio Colombo, commendatore milanese di grande fama e, incidentalmente, direttore del quotidiano sportivo più famoso d’Italia, la Gazzetta dello Sport: il 22 giugno 1922 (ben tre mesi dopo la conclusione dei campionati) il commendatore convoca a Brusnengo, in provincia di Milano, i dirigenti delle due federazioni per un arbitrato che risolva una volta per tutte la questione. La decisione, denominata poi “Compromesso Colombo” , è presa da un comitato di saggi (ricorda qualcosa?) il quale decreta il riassorbimento della Cci all’interno della Figc. Viene deciso che il nuovo campionato unificato si disputi con 36 squadre scelte con criteri meritocratici tra le due federazioni. Tuttavia, per l’assegnazione degli ultimi sei posti vengono predisposti degli spareggi tra le squadre della Figc e della Cci. La Cci sceglie di far disputare un turno interno preliminare che produca le squadre da mandare poi ad affrontare quelle della federazione “avversaria”. Incomprensibilmente, il comitato di Colombo decide di concedere tale possibilità solo alle squadre delle due leghe del Nord, escludendo quelle del centro-sud, che vengono automaticamente declassate:

Audace Esperta Roma, Pro Roma, Tivoli (ultime tre squadre girone Lazio) Salernitana (ultima nel girone della Campania) Virtus Macerata (ultima nel girone A delle Marche) Folgore Ancona (ultima nel girone B delle Marche) Veloce (ultima nel girone delle Puglie) Libertas Messina (ultima nel girone della Sicilia)

Altrettanto inspiegabilmente il Venezia, giunto terzultimo nello stesso girone dell’Inter, viene direttamente retrocesso consentendo ai nerazzurri di accedere al turno preliminare di spareggio: l’Inter viene abbinata alla Sport Italia Milano, squadra neopromossa ma ormai fallita per problemi economici, che non è nemmeno in grado di presentare i suoi atleti sul terreno di gioco. L’incontro viene vinto a tavolino dall’Inter che in questo modo passa al turno finale, dove trova la Libertas Firenze. Anche i toscani però hanno i conti in rosso e sono in via di scioglimento: nella gara di andata del 9 luglio a Milano l’Inter ha vita facile e si impone per 3-0 (due reti di Tullio Aliatis e una di Ermanno Aebi, detto “Signorina”) facendo del ritorno, a Firenze il 16 luglio, una formalità. Il match finisce 1-1 decretando la salvezza in extremis della squadra nerazzurra. Quindi, grazie al provvidenziale intervento di Emilio Colombo, solo ai nerazzurri (e al Vicenza) fu concessa la chance di salvarsi mentre ad altre squadre fu negata tale possibilità. Fa sorridere ma si può dire, a ragione, che l’Inter fu salvata dalla Gazzetta… Questa vicenda è interessante in relazione alla fantomatica retrocessione della Juventus nel 1913. Per anni, interisti e antijuventini di varia estrazione si sono riempiti la bocca con questo aneddoto storico senza però conoscerne gli esatti contorni. Nel 1913 non erano ancora ben definite le composizioni delle serie inferiori al punto che, per alcune stagioni, non si disputò alcun torneo di seconda divisione e non venne applicato il sistema delle retrocessioni. È proprio il caso del 1913 in cui tutte le squadre giunte all’ultimo posto nel campionato maggiore (e non solo la Juventus) presero regolarmente il via nel campionato principale successivo:

Libertas (ultima nel girone di Liguria e Lombardia) Modena (ultima nel girone di Veneto ed Emilia Romagna) Firenze e Pisa (ultime nel girone della Toscana) Internaples (ultima nel girone della Campania) Alba (ultima nel girone del Lazio, trasformatasi l’anno dopo nella Fortitudo)

Quindi c’è una bella differenza tra l’essere “riammessi” (in un’epoca in cui le serie inferiori non sempre si giocavano) e l’essere squadra privilegiata a disputare uno spareggio per non retrocedere. Infine, a chi sostiene che l’ultimo posto dell’Inter del 1922 era di poco valore poiché “ottenuto” in un campionato che non c’è più, va ricordato che quell’anno furono assegnati due scudetti, vinti da Pro Vercelli (Cci) e Novese (Figc), i quali sono tutt’oggi trofei validissimi . C’è invece da chiedersi perché la Juventus, che aveva vinto due campionati federali nel 1909 e nel 1910, abbia dovuto vederseli sottrarre per ragioni ancora oggi ignote. In sostanza, se il “doppio campionato” lo vincono Pro Vercelli e Novese tutto a posto, se lo vince la Juve, non vale più. Evidentemente, anche ai giorni nostri, non si è perso il vizio…

si ringrazia il dr. zoidberg

Inter: Lo scudetto (di cartone) del 1910

La storia dell’F.C.Internazionale comincia il 9 marzo 1908 al ristorante “Orologio” di Milano dove 43 “dissidenti” del Milan si riuniscono per discutere di una normativa che impedisce alle squadre italiane di schierare atleti stranieri. Questa costola rossonera fonda una nuova società che viene, programmaticamente, chiamata “Internazionale” proprio per dimostrare la volontà di consentire ai calciatori di tutto il mondo di misurarsi nel nostro campionato. Un nomen che si rivelerà profeticamente omen molti anni più tardi: quella nerazzurra, infatti, sarà la prima società nella storia del nostro calcio a mettere in campo una formazione interamente composta da atleti stranieri (24 novembre 2005, Inter-Artmedia Bratislava di Champions League). Due anni dopo la fondazione è già scudetto, ma le modalità con le quali viene conquistato ricordano molto da vicino il teatrino dell’assurdo che ha permesso recentemente ai nerazzurri di fregiarsi di un titolo conquistato da altri. Vediamo cosa accadde in quell’anno di grazia 1910. Il campionato vede ai nastri di partenza nove squadre che si sfidano con la formula del girone unico, in partite di andata e ritorno. Ad inizio aprile il torneo si conclude con questa classifica:

Pro Vercelli e Internazionale 25, Juventus 20, Torino 17, Genoa 15, U.S.Milanese 13, Milan e Andrea Doria 12, Ausonia 5

Vista la parità al termine delle sfide di campionato, il regolamento prevede lo spareggio, da giocarsi in gara singola sul terreno della formazione che abbia totalizzato il maggior numero di reti segnate. In questo caso la Pro Vercelli. Ma c’è un problema: la data fissata per l’incontro è il 24 aprile e, per quel giorno, i vercellesi devono rinunciare ad alcuni dei loro più importanti calciatori, impegnati nelle file della nazionale militare. Al fine di riavere disponibili i propri tesserati, La Pro Vercelli chiede ufficialmente un cambio di data ma la Figc rende noto che spetta all’Internazionale la decisione finale di un eventuale spostamento. La società nerazzurra respinge la richiesta e impone agli avversari di presentarsi nel giorno prestabilito. Sdegnata da una tale mancanza di sportività la Pro Vercelli schiera, in segno di protesta, la quarta squadra, una formazione giovanile composta principalmente da undicenni. L’Inter, nonostante l’evidente disparità di forze, non si tira indietro e gioca l’incontro: finisce 10-3 per i nerazzurri, che riescono anche a farsi infilare tre volte da una squadra composta da “atleti” poco più che bambini. Ecco come entrò in bacheca il primo scudetto nerazzurro. Chissà che anche allora il Moratti di turno non abbia brindato alla vittoria.

si ringrazia il dr. zoidberg

lunedì 25 febbraio 2008

LA GERONZI: "MANCINI TRA GLI AZIONISTI DELLA GEA"

CLAMOROSO: IL TECNICO DELL'INTER - CHE A PIU' RIPRESE AVEVA ATTACCATO LUCIANO E ALESSANDRO MOGGI - AVREBBE AVUTO DELLE PARTECIPAZIONI NELLA DISCUSSA SOCIETA' DI PROCURATORI

E' quanto emerge dall'interrogatorio di Chiara, figlia del banchiere.
Robertino il "santarellino" nega tutto.


L'inchiesta romana sull'associazione a delinquere della Gea lascerà in lascito nuovi deferimenti sportivi. In otto stanno rischiando il rinvio a giudizio — come da chiusura indagini dei sostituti procuratori Luca Palamara e Maria Cristina Palaia — per illecita concorrenza con minacce e violenza. Tre di questi, Luciano Moggi, Luciano Gaucci e Francesco Ceravolo, nella prima metà del Duemila erano tesserati del calcio: su di loro il capo dell'Ufficio indagini Francesco Saverio Borrelli domani aprirà un'inchiesta. Per i procuratori accusati invece, e sono Alessandro Moggi, Francesco Zavaglia, Riccardo Calleri, Davide Lippi e Pasquale Gallo, si profila una sospensione dall'albo degli agenti Fifa. Dagli interrogatori dei "figli eccellenti" emergono particolari inediti. Chiara Gcronzi, figlia del banchiere Cesare, maggior azionista della Gea World, nelle sue dichiarazioni spontanee ha rivelato ai pm che la Gea nella sua prima forma - General Athletic, appunto — è stata finanziata, tra gli altri, anche da Roberto Mancini, allora attaccante e poi allenatore della Lazio, oggi allenatore dell'Inter tra i più duri avversari di Luciano Moggi e del suo mondo di riferimento. Chiara Geronzi, la cui posizione processuale va verso l'archiviazione, ha raccontato in procura: «La Gea - General Athletic - nasce dall'iniziativa di un gruppo di ragazzi che si conoscevano. Io, pur lavorando al Tg5, mi trovavo in un momento difficile e non mi sentivo adeguatamente gratificata. I giornali misero presto in cattiva luce la nuova società. Soci fondatori siamo stati io, Francesca Tanzi, Andrea Cragnotti e Giuseppe De Mita. Non so se di questa iniziativa parlarono anche i nostri genitori. Le quote societarie erano queste: il 20% lo detenevo io, il 20% la Tanzi, il 20% Cragnotti e poi c'era un 40% in mano alla società Roma Fides, fiduciaria composta da Giuseppe De Mita e Roberto Mancini». Sopra il nome della "Roma Fides"c'è stato a lungo un alone di mistero. L'interrogatorio della Geronzi offre un nuovo scenario e - chiama in causa Mancini, che in passato ha smentito più volte una sua presenza nella contestata società. Continua la Geronzi: «Nell'ottobre 2001 nacque per fusione la Gea Worid e io venni nominata presidente solo per pochi giorni...la sede la scelsi io su indicazione di mio padre, l'immobile era di una società riconducibile alla Banca di Roma. In realtà cominciavo a perdere interesse per questa società che si concentrava sempre più sull'acquisizione di procure sportive. Come giornalista mi stavo realizzando, poi mi sono sposata e ho avuto due figlie. Dalla Gea non ho mai percepito utili, Zavaglia mi diceva che i ricavi servivano a coprire i costi. Intendevo distaccarmi, ma questa decisione è stata rinviata perché avrebbe potuto influire negativamente sulla nostra immagine. Sulle scelte Alessandro Moggi e Zavaglia non mi interpellavano mai. Sapevo dell'inchiesta Figc sul conflitto di interessi, ma non le diedi molto peso. Luciano Gaucci l'ho conosciuto perché era un cliente della Banca di Roma. Perché lo invitai al mio matrimonio? Un gesto di cortesia dopo aver ricevuto da lui un quadro». Nel suo interrogatorio Giuseppe De Mita, figlio di Ciriaco e anche lui vicino all'archiviazione, si definisce l'ideatore della Gea e racconta: «Parlai del mio progetto agli amici Francesca Tanzi e Andrea Cragnotti. Ne parlai anche con Chiara Geronzi, che all'epoca frequentavo perché fidanzata con uno dei miei migliori amici, Marco Mezzaroma. Venne coinvolta da questa idea e sin dall'inizio la appassionò. Quando mi sono allontanato le quote le ho versate a Chiara Geronzi, che mi ha versato solo una parte del corrispettivo. Nel 2003 ho guadagnato 34.000 euro, unico utile incassato, poi sono tornato alla Lazio. Tentai di rientrare alla Gea, ma Alessandro Moggi mi disse che non voleva più lavorare con me. Se fossi entrato io, lui se ne sarebbe andato. Chiara Geronzi? Per me non spese neppure una parola». (da Repubblica)

IL GRANDE RITORNO DELLE AMMONIZIONI MIRATE

L'uomo più potente del mondo, il Dio Odino del mondo del Calcio... non aveva nessun altra arma per batter le potenti avversarie, nonostante il suo supersquadrone, che accattare l'elemosina di ammonizioni mirate di qualche povero giocatorino a destra e a manca? Ma non diciamo stupidaggini... non teniamo i prosciutti sugli occhi dai, siamo seri... se c'è ancora uno che crede a queste "robe" ..meglio che si cosparga il capo di cenere per la vergogna :)

UDINESE-BRESCIA 1-2
«atti fraudolenti consistiti, ad opera del Dattilo, nella dolosa ammonizione dei calciatori Pinzi, Muntari e Di Michele e nella dolosa espulsione del calciatore Jankulovski, tutti in forza alla squadra dell’Udinese – successivo avversario della Juventus […] la gara dell’Udinese risultava condizionata dalle tre ammonizioni e dalla espulsione inflitte dal direttore di gara».

Ci si chiede se chi ha vergato la frase sopra riportata abbia avuto la decenza di vedere la partita in questione o, almeno di informarsi. L’incontro è infatti passato alla storia per un gol (quello decisivo) segnato dal bresciano Mannini con il portiere udinese De Sanctis a terra infortunato. In seguito a questo episodio è scoppiata una maxi-rissa che ha visto coinvolti praticamente tutti i 22 calciatori in campo. Quindi è già andata bene ai friulani (inviperiti per il torto subito) di ritrovarsi con solo 1 giocatore sanzionato, Jankulovski che viene tra l’altro espulso giustamente. Questo il comunicato ufficiale della Lega Calcio in merito alle decisioni della Disciplinare:

SQUALIFICA PER UNA GIORNATA EFFETTIVA DI GARA:
JANKULOVSKI MAREK (Udinese): perché, al 31° del secondo tempo, colpiva a mano
aperta sul volto un avversario senza conseguenze lesive di sorta; infrazione rilevata da un Assistente

Incredibile, l’infrazione era sfuggita all’arbitro Dattilo ed è stata segnalata (opportunamente) da un guardalinee. Come faceva allora l’arbitro ad espellere volontariamente (e fraudolentemente) il calciatore ceco?
Ma le stranezze non finiscono qui: i tre calciatori friulani ammoniti (Pinzi, Muntari e Di Michele) non figuravano nella lista dei diffidati (infatti scenderanno regolarmente in campo contro la Juventus)… Per quale curiosissimo motivo Moggi ne avrebbe richiesto l’ammonizione? Per sfizio personale?

MESSINA-REGGINA 2-1
«il Moggi in qualità di istigatore, il Racalbuto quale direttore di gara dell’incontro compivano atti fraudolenti consistiti nella dolosa ammonizione del calciatore Mesto della Reggina»
Moggi è astuto, talmente astuto da fare di tutto per ottenere l’ammonizione di Mesto, elemento fondamentale in mancanza del quale la Juve non potrà battere la Reggina. Infatti, la domenica successiva a Reggio, la Juve perde… e con lo scandaloso arbitraggio di Paparesta… Tra l’altro la squadra calabrese rientra nell’esclusiva lista delle “elette” che godono dei favori dell’associazione. Perché mai la si è voluta penalizzare? E, per la cronaca, l’intervento di Mesto, qualificato in televisione come «entrataccia assassina», era da rosso…
FIORENTINA-BOLOGNA 1-0
«dolosa ammonizione dei calciatori Petruzzi, Nastase e Gamberini difensori del Bologna F.C, successivo avversario della Juventus».
Altri due fenomeni vengono “fatti fuori” dai killer infallibili al soldo di Moggi: i temibilissimi Nastase e Petruzzi (le ammonizioni sono state definite “dovute e necessarie dalla sentenza san dulliana). C’è poi da chiedersi cosa c’entri Gamberini, il quale non era nemmeno diffidato. Non è che dietro ogni ammonizione c’è Moggi e non ce l’hanno mai detto?

ROMA-PARMA 5-1
In questo caso i candidati palloni d’oro che la “cupola” fa provvidenzialmente eliminare sono Pisanu e Contini. E questo in vista di Parma-Juventus, partita in cui De Santis (l’arbitro per eccellenza del sodalizio) non concede alla Juventus un rigore per un fallo di mani di un difensore emiliano…

SAMPDORIA-SIENA 1-1
Qua si raggiunge il vertice dell’assurdità. L’impallinato in questione è Simone Inzaghi, centravanti della Sampdoria… che entra in campo a venti minuti dalla fine... Che precisione questa “cupola”! Far ammonire un diffidato che avrebbe anche potuto non scendere in campo e che, in quella stagione, ha fatto indigestione di chewing-gum seduto in panchina… Tutto questo per prepararsi la strada per la successiva Juventus-Sampdoria, che i bianconeri perdono 0-1, ma che Beatrice e Narducci trascrivono come “1-0” in favore della Juve. Avevano smarrito l’almanacco o hanno volutamente alterato quel risultato (sai, se la Juve vince allora vuol dire che la squalifica di Inzaghi è servita…)?

INTER-FIORENTINA 3-2
Moggi è molto preoccupato dei cecchini viola Obodo e Viali e provvede così ad escluderli per la prossima partita che vede la Juventus impegnata con i toscani. Il buon Bertini, esegue, anche se si sta ancora domandando perché mai non avrebbe dovuto far perdere direttamente l’Inter, rivale della Juventus, al posto che sbattersi per “far fuori” due giocatori viola. Beh, ma in vista c’è Fiorentina-Juventus! Che finisce 3-3 con Collina che non vede un gol fantasma di Cannavaro…

Va anche detto che Moggi è uno attento ai bisogni degli amici, infatti provvede a fare un favore al sodale Fabiani (dirigente messinese) provvedendo alla squalifica “preventiva” di Guana e Mannini in Brescia-Bologna (1-1 e arbitrava Paparesta!) per favorire il Messina per la successiva gara contro i lombardi. È un generoso Moggi, almeno questo bisogna riconoscerglielo!
Ma ci sono delle domande che restano aperte: visto che la Juventus comandava 8 arbitri, perché non chiedeva loro direttamente di far vincere le partite alla Juventus anziché produrre sforzi per far ammonire poco temibili avversari?. Ha dato delle schede svizzere (vedere più avanti) d’altra parte! Che spreco di sim! E poi, quel De Santis che birbone! In Fiorentina-Milan (1-2), che anticipa lo scontro diretto a San Siro tra Juve e Milan, non espelle Stam per fallo da ultimo uomo e si dimentica di “impallinare” i tre importantissimi (questa volta sì) diffidati rossoneri: Nesta, Rui Costa e Seedorf!!! Evidentemente aveva il telefonino scarico…

martedì 19 febbraio 2008

Arbitro De Santis: "Mai sentito Moggi, semmai Facchetti e Meani"

Ospite a Lunedì di Rigore, ha affermato: “Non ho mai parlato al telefono con Luciano Moggi e non ho mai preso da Moggi alcuna sim straniera. Anzi. Dico di più. Ero solito parlare abitualmente con altri dirigenti calcistici“. Dichiarazione forte che è stata approfondita dai presenti in studio solo grazie a una impertinente mail di uno juventino. Quindi De Santis ha continuato, dicendo chi era che chiamava sul suo cellulare con più insistenza.

“Mi sentivo spesso con Facchetti e Meani. Con Giacinto Facchetti avevo un buonissimo rapporto e devo dire che lui in parecchie circostanze è stato molto ossessivo. Le sue richieste qualche volta sono andate anche oltre il lecito. Ma io non le ho mai prese in considerazione, perché quando scendevo in campo pensavo solo a dirigere correttamente le partite. Queste cose le sa benissimo anche Moratti. Mi spiace parlare di una persona che purtroppo non c’è più. Ma io sono disponibilissimo a rendere pubblici i miei tabulati telefonici, di modo che tutti sappiano che questi rapporti erano reali. Meani? Mi sentivo spessissimo anche con lui e mi viene da sorridere quando viene trattato come un fattorino o una badante“.

Niente male, ma dichiarazioni del genere pare siano state rilasciate da un pazzo visionario: nessuno si scandalizza, tutto tace.
TUTTO TACE IN CASA NERAZURRA...eppure i telefoni alla Telecom, ufficio intercettazioni e pedinamenti, squillavano parecchio.

Chissà come mai Moratti non lo ha querelato...
Aspettiamo che lo faccia, così magari poi saltano fuori gli scheletri dall'armadio.

domenica 17 febbraio 2008

...e oggi li chiamano "Errori Arbitrali"

Il campionato di calcio 2007/2008 è completamente falsato.
Inutile girarci intorno, nelle ventuno giornate finora disputate sono stati commessi, dati alla mano, più errori arbitrali che negli ultimi cinque campionati.
Dall'esame della carta stampata e delle moviole televisive, gli errori più determinanti, sono stati commessi a favore dell’Inter, squadra prima in classifica.
Da un’analisi apparsa nella mattina di martedì 5 febbraio, sul cartaceo de La Gazzetta dello Sport, si può tranquillamente evincere come questi dati facciano cambiare in maniera sostanziale la classifica del campionato di calcio. Stravolte le prime posizioni, con la Juventus in testa con un vantaggio di 3 punti su Roma e Inter (ora appaiate), il Milan al quarto posto con un vantaggio di addirittura 5 punti sulla quinta, la Fiorentina. Nelle posizioni di coda, sostanzialmente le squadre si equivalgono, eccetto la Reggina, che senza gli errori si ritroverebbe a ridosso della zona Uefa.
In queste ipotetiche classifiche a confronto, il dato “punti persi-punti guadagnati” è da brividi: spicca il Milan con -8 punti, seguito da Juventus e Reggina con -7, a distacco l’Atalanta con -4, tra le grandi, Roma, Lazio e Fiorentina si equivalgono, rispettivamente con -1, 0 e +1. In cima alla classifica delle squadre che hanno usufruito di più punti, in base agli errori arbitrali, spicca l’Inter con addirittura un +8.
Insomma, un vero e proprio disastro, se si considera che, dopo l’avvento di Calciopoli, si era detto e scritto che finalmente tutti (parole di Mancini, allenatore dell’Inter) avrebbero avuto modo di poter vincere, avendo debellato il cosidetto “sistema” che pilotava partite e arbitri.
Nella giornata odierna (05/02/2008), oltre all'analisi sopracitata del quotidiano di Via Solferino, anche l'Osservatorio sugli errori arbitrali nel calcio (condotto da Make Tailored Advertising, società specializzata nel marketing dello sport) evidenzia come gli errori arbitrali nelle situazioni limite avrebbero falsato il 52% delle partite, spostando ben 156 punti in classifica. Le squadre più penalizzate sarebbero la Juventus (-13 punti), il Milan (-7), la Lazio (-5), e la Reggina, che si ritroverebbe con addirittura 12 punti in meno del dovuto. Gli arbitri avrebbero invece favorito l'Inter (+6).
Si può notare come, aldilà delle discrepanze sui numeri dovute alle differenti metodologie di indagine, le tendenze individuate siano comuni alle due inchieste: Inter nettamente favorita, Juve e Milan danneggiate pesantemente.
Nonostante questo, a differenza di tre anni orsono, i commenti degli addetti ai lavori seguono il filone dell’incapacità arbitrale, puntando il dito dell’accusa contro Pierluigi Collina, designatore attuale degli arbitri, per l’incapacità di allenare in modo adeguato i suoi sottoposti.
Infatti dallo specchietto fatto a pagina “2” de La Gazzetta dello Sport, sulle classifiche a confronto, si “pilota” il lettore nel prendere tali dati come un gioco, una provocazione, anche se sono ben 46 le partite individuate come modificate dagli errori arbitrali, dal loro vero risultato finale, per poi concludere la disamina con il verbo “divertitevi”, facendo notare al lettore di non guardare dietro queste classifiche chissà quali complotti. In pratica non esiste nessuna “cupola” e ancora meno un “sistema” che favorirebbe l’Inter, al contrario di quello che accadeva ai tempi della Juventus, dove tra la “sudditanza psicologica”, il “sistema Moggi”, e il condizionamento della dirigenza bianconera nei confronti delle “giacchette nere” faceva pensare, scrivere e dire ai più che nel mondo del calcio c’era la corruzione, che le partite erano pilotate attraverso ammonizioni mirate e situazioni di gioco (calci di rigore, fuorigioco, etc. etc.) dove era sistematicamente favorita la Juventus. In pratica una sentenza a priori.
Da qui Calciopoli e tutto ciò che ne conseguì.
Una differenza sostanziale di giudizio, i famosi due pesi e due misure, valutati tali perché oggi non ci sono, a differenza di allora, arbitri esperti e capaci di arbitrare gare di un certo livello ma una nuova leva che si affaccia per la prima volta nel massimo campionato nazionale.
Ma non è proprio così.
Sabato 15 dicembre 2007, si è alzato il sipario, nell’aula 112 del Palazzo di Giustizia di Napoli al Centro direzionale, sul processo di Calciopoli-bis.
Davanti al gup Eduardo De Gregorio, è stata celebrata l’udienza preliminare che, dovrà stabilire se e quando dovranno essere processati i 37 imputati dell’inchiesta.
Tra questi 37 imputati, oltre a nomi oramai arcinoti ai più, compaiono anche arbitri e assistenti.
Nell’elenco si leggono i nomi di: Marcello Ambrosino, Duccio Baglioni, Paolo Bergamo, Paolo Bertini, Franco Carraro, Stefano Cassarà, Enrico Ceniccola,Antonio Dattilo, Massimo De Santis, Andrea Della Valle, Diego Della Valle, Paolo Dondarini, Mariano Fabiani, Maria Grazia Fazi, Giuseppe Foschetti, Pasquale Foti, Marco Gabriele, Silvio Gemignani, Francesco Ghirelli, Antonio Giraudo, Alessandro Griselli, Tullio Lanese, Claudio Lotito, Gennaro Mazzei, Innocenzo Mazzini, Leonardo Meani, Sandro Mencucci, Domenico Messina, Luciano Moggi, Pierluigi Pairetto, Tiziano Pieri, Claudio Puglisi, Salvatore Racalbuto, Gianluca Rocchi, Pasquale Rodomonti, Ignazio Scardina, Stefano Titomanlio.
Abbiamo voluto evidenziare in grassetto, arbitri ed assistenti dell’attuale organico dell'Associazione Italiana Arbitri (Aia), composta da un commissario (Collina), tre vicecommissari (Borriello, Capraro e Stevanato), 43 arbitri, 86 assistenti e 47 osservatori.
Ritroviamo quindi nell’ordine: Bertini, Dondarini, Pieri e Rocchi come arbitri, Ambrosino e Griselli come assistenti.
Nell’organigramma sopra elencato dell’Aia, ritroviamo anche nomi come: Pierluigi Collina (come già specificato, designatore), Gianluca Paparesta e Paolo Tagliavento come arbitri, Cristiano Copelli e Alessandro Stagnoli come assistenti.
Da questo elenco notiamo come ci sono nomi che hanno fatto e fanno ancora parte dello scandalo di Calciopoli. Personaggi che, attualmente scendono regolarmente in campo ad ogni domenica di campionato, designati da quel Collina che si telefonava con Meani ed organizzava un incontro clandestino con Galliani.
Prendendo in esame le direzioni dei soli arbitri, da una statistica, si può tranquillamente evincere il numero di direzioni che hanno effettuato in questa stagione, arbitri che sono scesi in campo nel periodo pre-Calciopoli e successivamente implicati e deferiti:
Dondarini 11 gare
Rocchi 11 gare
Tagliavento 9 gare
A questo punto ci domandiamo: ma se allora, gli errori arbitrali erano definiti “pilotati da un sistema” e oggi, gli stessi errori (molti di più) sono definiti "per incapacità ed inesperienza", qualcuno ci può spiegare quale differenza passa, se poi le stesse identiche persone sono ancora oggi protagoniste degli stessi errori?
L’esempio lampante è accaduto domenica a San Siro durante la partita Inter-Empoli.
L’arbitro che ha diretto la gara è Paolo Tagliavento, coinvolto nel 2006 nell’ambito di Calciopoli (peraltro prosciolto in sede di giustizia sportiva senza che il procuratore Palazzi impugnasse la sentenza) per alcune intercettazioni telefoniche e che domenica (03/02/2008 ndr) ha concesso un clamoroso calcio di rigore inesistente ai neroazzurri (era stato fermato già dopo la partita Cagliari-Juve).
Dunque qui le cose non quadrano: prima Tagliavento era stato inserito nell’inchiesta Calciopoli per presunti errori a favorire questo o quello, mentre oggi viene fatto passare per un arbitro incapace (Tagliavento è stato promosso internazionale il 1 gennaio 2007) e inesperto e si afferma che gli errori fanno parte della nuova leva arbitrale condotta da Pierluigi Collina.
Vorremo tanto che qualcuno ci spiegasse, in maniera chiara, come mai vengono usati due pesi e due misure, da televisioni e quotidiani, sullo stesso identico film, vorremmo anche capire come mai, alcuni arbitri e assistenti sono stati fatti fuori (coloro che sono stati implicati nelle partite della Juventus, peraltro non sentenziate, ma altresì considerate non alterate), perché implicati nelle inchieste sul farneticante calcio “malato e corrotto”, e altri invece sono rientrati a pieno organico (coloro che hanno riguardato casi di partite sospette di altre squadre) con annesse promozioni ad internazionali.
Vorremo altresì sapere come mai, alcuni degli indagati possono tranquillamente continuare a svolgere il proprio lavoro, mentre altri non possono nemmeno telefonare ad un amico per scambiarsi gli auguri di buon anno.
Per concludere, vorremmo ancora sapere se è possibile, vista l’accusa che pende a carico degli indagati (frode sportiva), che continuino, commettendo errori a non finire nel campionato più falsato di sempre, ad arbitrare tranquillamente, senza che nessuno, ora, pensi minimamente ad un “sistema” o ad una “cupola”.
Strana la vita. Ora che la Juventus non conta più (e probabilmente questo accadrà per anni, vivendo nell’ombra del terremoto Calciopoli) e gli errori sono direzionati a favorire una sola squadra, si parla di incapacità mentre prima, quando la predominanza tecnica ed agonistica era a favore della Juventus, che vinceva i campionati con gli stessi errori pro e contro delle dirette avversarie, erano errori che si celavano dietro un “sistema da banda di truffatori”.

mercoledì 13 febbraio 2008

Altri scandali... la legge "spalmadebiti"

Il calcio italiano, nell’autunno del 2002, mostra tutti i segnali dello sfascio. Solamente Juventus, Bologna e qualche società di minor livello possono dichiararsi “in salute”, tutte le altre sono in una situazione prefallimentare. Il sistema rischia di crollare e l’eventualità non è gradita alle banche le quali vantano crediti enormi con quasi tutti i club della massima serie.
I presidenti, spaventati, corrono in Parlamento a chiedere una mano alla politica: non ci sono più soldi. Carraro, che come presidente di Mcc, banca d’affari di Capitalia, ha interesse che tutto funzioni per il meglio, si consulta con Berlusconi, all’epoca capo del governo. Sono giorni di febbrile attesa, fino a quando la coppia se ne esce con una trovata straordinaria: perché non inventare in quattro e quattr’otto una legge che tolga il pallone dalle sue pastoie? Detto, fatto. Il 22 dicembre 2002 il Governo emana il Decreto 282 che la XIV Legislatura Parlamentare tramuta in legge il 27 febbraio 2003. Il dado è tratto: definita e salutata in molti modi, tra cui “spalmadebiti”, “spalmaperdite” e “spalmaammortamenti”, la nuova legge può avere una sola, credibile, denominazione: “Salvacalcio”.
La porcheria è servita e tutti lo sanno. La Legge 27 (altra sua definizione) viola il Codice Civile italiano e la IV Direttiva Cee ma non interessa a nessuno. L’importante era trovare una soluzione momentanea, un escamotage che permettesse di “tirare avanti”, nonostante la certezza delle rimostranze future della Commissione Europea. “Un falso in bilancio legalizzato” la definisce Victor Uckmar, ex presidente della Covisoc.

Ma cosa fa la legge? Permette di ricalcolare il valore del patrimonio calciatori, cioè consente di “svalutarlo”. Supponiamo di possedere una società di calcio con un patrimonio calciatori di 200 milioni di euro. Questa cifra è un costo che l’azienda ha sostenuto e che sosterrà perché lo sta ammortizzando, secondo le leggi, in base alla durata di contratto dei singoli giocatori. Una mannaia impietosa che si aggiunge ai normali costi di gestione e all’elevatissimo monte ingaggi. L’unico metodo per ovviare al problema è ridurre il patrimonio calciatori, in modo da pagare annualmente quote più basse di ammortamento. Un’operazione consentita, anzi obbligatoria, ma che nessuno ha mai fatto. Il Codice Civile afferma che un bene deve essere iscritto a bilancio al minor valore tra quello di acquisto e quello di possibile realizzo (Comma 3 dell’articolo 2426: «l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1 e 2 deve essere iscritta a tale minor valore». Ad esempio: ho comprato Kakà a 10 milioni e, dopo due anni, considerati gli ammortamenti, vale 6. Anche se vendendolo presumo di poter realizzare 40 milioni, a bilancio devo iscrivere comunque 6. Al contrario, un giocatore della Primavera che ho fittiziamente acquistato a 10 milioni, deve essere iscritto a bilancio con il valore di possibile realizzo [cioè il vero valore di mercato], per esempio 1).
Invece nei bilanci delle società di calcio, come si è visto, giocatori di bassissimo valore di realizzo (es.giovani) sono stati iscritti a cifre folli, per reggere il sistema delle plusvalenze. Quindi il patrimonio calciatori reale è molto inferiore a quello dichiarato. Tuttavia, se opero una corretta svalutazione si generano delle perdite: se un patrimonio che vale 200 viene svalutato a 100, la differenza tra i due valori è una perdita secca che entra direttamente nel bilancio d’esercizio e che mi trovo costretto a ripianare in una volta sola. Immaginiamo di possedere una bellissima casa, acquistata per 500 mila euro. Se di fianco viene costruita una fabbrica, è molto probabile che la mia casa perda di valore Da 500 mila è possibile che ora valga solo 150 mila: 350 mila euro di differenza sono letteralmente sfumati.
Questa è la norma che viene però abilmente aggirata nel caso delle società di calcio: grazie alla Legge Salvacalcio le società svalutano il loro patrimonio e la perdita che ne consegue viene “spalmata” in dieci anni, al posto che pesare tutta e una volta sola su un singolo bilancio di esercizio (come indicato dal Codice Civile). Un bel vantaggio. In questo modo chi ha fatto il furbo con le plusvalenze se la cava con un buffetto sulla guancia. Chi invece si è comportato correttamente rimane con un pugno di mosche: basti pensare alle quattro squadre di Roma e Milano che hanno complessivamente operato svalutazioni per ben 900 milioni di euro i quali, se iscritti ad un solo bilancio, avrebbero sancito il fallimento delle stesse.
La Legge 27 non solo è iniqua nei suoi fondamenti ma presenta anche due evidenti incongruenze: la prima è l’irregolare procedimento attraverso il quale la svalutazione del patrimonio giocatori viene iscritta, nell’attivo patrimoniale, alla posta “oneri pluriennali”. Ma cosa sono gli oneri pluriennali? Sono “costi d’impresa che generano utilità per più esercizi. Fra essi, tuttavia, non sono contemplati gli acquisti di beni o diritti (come i diritti allo sfruttamento delle prestazioni dei calciatori). Gli oneri pluriennali sono infatti dei costi con i quali non si acquista alcunché di definito. L’art.2426 del Codice Civile li distingue in costi di impianto e ampliamento, costi di ricerca e sviluppo, costi di pubblicità. La normativa è stretta e ammette solo questi tre casi. Ci si chiede perciò come è stato possibile che una svalutazione (cioè una perdita secca) sia considerata alla stregua di qualcosa in grado di generare utilità per più esercizi. Secondo il Codice Civile tali costi vanno iscritti nella misura in cui ci si attende di recuperarli grazie a maggiori entrate future, il quale non è il caso della svalutazione in esame. E pazienza se il codice prevede che gli oneri pluriennali possano usufruire di un limite massimo di ammortamento di cinque anni. La seconda incongruenza si riferisce a due differenti interpretazioni che della Legge 27 hanno fornito la Lega Calcio e l’Oic, l’Organismo Italiano della Contabilità. Le squadre, ovviamente, hanno scelto quella della Lega, in quanto più vantaggiosa per le loro casse. Leggiamo il resoconto della vicenda pubblicato da Il Manifesto il 12 novembre 2003:


I criteri interpretativi appositamente riferiti alla legge 27 e fissati dall’Oic, l’organismo italiano della contabilità, sono stati disattesi. Secondo l’Oic “la svalutazione è determinata e rilevata nel bilancio dell’esercizio primo luglio 2002-30 giugno 2003, con riferimento alla data del 30 giugno 2003”. In parole semplici, le società avrebbero dovuto calcolare il valore contabile al 30 giugno 2003 e su quello effettuare la svalutazione consentita dalla legge. Invece, esse hanno agito diversamente, svalutando rispetto ai valori al 20 giugno 2002. Non sono quisquilie: secondo quanto ha ammesso ad esempio la Lazio a pagina 8 del suo bilancio, “l’adozione dell’impostazione contabile raccomandata dall’Oic avrebbe comportato una maggior perdita al lordo dell’imposta di 54,4 milioni di euro”.
Un esempio che può chiarire meglio la questione: ipotizziamo che una società avesse iscritto a bilancio un calciatore al 30 giugno 2002 a 20 milioni, con contratto quadriennale. In tal caso l’ammortamento contabile annuo, che rappresenta un costo, sarebbe dovuto essere di 5 milioni. Al 30 giugno 2003 il valore di bilancio sarebbe perciò sceso a 15 milioni. Ipotizziamo anche che l’intervento della perizia ne avesse portato il valore a 7 milioni. Secondo l’Oic la svalutazione sarebbe stata pari a 8 milioni e la legge ne avrebbe consentito la “spalmatura” in dieci anni, con un costo annuo di 800 mila euro. Secondo la Lega la svalutazione sarebbe stata pari a 13, con un costo annuo di 1,3 milioni. Nell’interpretazione Oic, il costo totale sopportato nell’esercizio 2002-03 per quel calciatore sarebbe stato dunque pari a 5,8 milioni. In quella della Lega, invece, avrebbe inciso soltanto per 1,3 milioni. Se ripetuto per tutto il patrimonio giocatori ben si comprende la portata dei risparmi conseguiti.

Un bel pastrocchio, che non ha impedito alle società nostrane di trarne tutti i vantaggi possibili. La prima ad usufruire della Legge è la Lazio, alla quale si accodano tutte le altre squadre in difficoltà. Le cifre sono da capogiro: l’Inter, che prima dell’entrata in vigore della Salvacalcio sosteneva di avere un patrimonio calciatori di 357 milioni di euro, dopo si ritrova con un patrimonio di soli 38 milioni. Magia. Una differenza record di 319,39 milioni che pone la società di Moratti in testa alla speciale classifica degli “svalutatori”. Al secondo posto il Milan, che ha abbattuto il patrimonio per 242 milioni, a seguire la Lazio con 212,91, infine la Roma con 133,6. Poi molte altre società minori che non giungono però a queste stratosferiche somme. Come è noto la Juventus NON si è avvalsa della Legge.
Certo risulta difficile pensare a come il Milan avrebbe potuto vincere lo scudetto 2003/04 senza l’intervento salvifico della nuova legge. Senza di essa avrebbe dovuto ricapitalizzare per 242 milioni. A questo proposito vediamo un interessante tabella:
  • Inter: 305 (giu02) – 38 (giu03, con Salvacalcio) – 357 (giu03, reale)
  • Lazio: 272 (giu02) – 27 (giu03, con Salvacalcio) – 239 (giu03, reale)
  • Milan: 271 (giu02) – 70 (giu03, con Salvacalcio) – 312 (giu03, reale)
  • Roma: 169 (giu02) – 78,4 (giu03, con Salvacalcio) – 212 (giu03, reale)
  • Juventus: 220 (giu02) – 174 (non usufruisce della legge Salvacalcio)


Nella colonna di sinistra vengono mostrati i valori iscritti al bilancio 2002. In quella centrale, quelli a bilancio 2003. Come si può facilmente notare il patrimonio di tutte le squadre, ad eccezione di quello della Juventus, è vertiginosamente sceso, con percentuali che variano dal 53% al 90%. La colonna di destra mostra invece i reali valori del parco giocatori prima della svalutazione.
Anche un occhio non avvezzo alla lettura di tali cifre può rendersi immediatamente conto delle differenze sostanziali tra i due valori e dei considerevoli risparmi che le squadre hanno potuto realizzare. I 36 milioni di svalutazione della Juventus sono finiti in un’unica soluzione nel bilancio chiuso al 30 giugno 2003 mentre i 319 dell’Inter, i 242 del Milan, i 212,91 della Lazio e i 136 della Roma sono stati suddivisi in dieci anni. Incredibilmente l’Inter, grazie alla Salvacalcio, riesce a contabilizzare una perdita inferiore a quella della Juventus (31,9 contro 36) e questo nonostante dieci anni di “generosa” gestione morattiana. In poche parole, prima le plusvalenze gonfiano il valore dei calciatori, poi il decreto salvacalcio lo abbatte.


Il decreto “spalmadebiti” rappresenta anche una paradossale tipologia di quel “welfare all’incontrario” di cui è piena la legislazione italiana. Certo, siamo di fronte ad un caso limite, ma non può sfuggire che l’essenza dei benefici concessi alle società di calcio equivale ad un paracadute della collettività allo stipendio dei calciatori. (Calcioinborsa.com)


Un altro esempio può far capire meglio la situazione: a fine 2003 la perdita dichiarata a bilancio dall’A.C. Milan è di 29,5 milioni. Senza il decreto spalma-ammortamenti e senza le plusvalenze fittizie che abbiamo visto sopra, questa sarebbe stata di 112,71 milioni. E, se avesse voluto svalutare tutto in una volta il parco giocatori la perdita sarebbe salita a 217,8. Non è difficile capire come l’intervento del Governo abbia consentito alle squadre di ripresentarsi “pulite” ai nastri di partenza della serie A 2003/04, senza preoccuparsi di difficoltose ricapitalizzazioni e potendo addirittura fare mercato. Mercato che, altrimenti, sarebbe stato in mano alla sola Juventus, con le altre grandi costrette a privarsi dei loro giocatori migliori per ripianare i bilanci.
Come si è detto in precedenza, la fantasiosità dei legislatori italiani non è sfuggita alla Commissione di Controllo della Comunità Europea che, l’11 novembre 2003 ha inviato al nostro paese una richiesta di spiegazioni. Secondo la IV Direttiva Cee i bilanci devono infatti esprimere con evidenza e verità, chiarezza e precisione la situazione economico-patrimoniale delle società. Cosa che non è accaduta dopo l’entrata in vigore della Legge:


La commissione europea ha chiesto di richiedere all’Italia informazioni concernenti due aspetti di una recente legge nazionale relativa al rendiconto dei bilanci da parte di società sportive professionistiche – comprese le squadre di calcio di serie A – in Italia. In primo luogo, la Commissione teme che la legge possa contravvenire alla normativa dell’Unione europea in materia di contabilità e, in secondo luogo, che essa possa comportare la concessione di aiuti di Stato. […] Se a determinate società sportive vengono effettivamente concessi vantaggi finanziari rispetto ad altre in Europa, ciò rappresenta una distorsione della concorrenza sia in termini commerciali che, per estensione, in termini sportivi.


E la motivazione è semplice:


Per effetto di questa legge, alcune società sportive, in particolar modo le società di calcio le cui maggiori uscite sono rappresentate dagli stipendi dei giocatori, possono presentare rendiconti che sottostimano i costi effettivi di un dato esercizio, nascondono perdite reali e forniscono un quadro distorto e fuorviante della situazione agli investitori, i cui finanziamenti sono messi a repentaglio. Un altro effetto collaterale consiste nel fatto che le società sportive in questione possono, almeno nel breve termine, acquistare giocatori a prezzi esorbitanti e pagarne gli elevati stipendi anche quando la loro effettiva situazione finanziaria non glielo consentirebbe, trovandosi quindi in una posizione di vantaggio La quarta (78/660/CEE) e Settima (83/349/CEE) direttiva del Consiglio (direttive contabili) relative ai conti annuali e ai conti consolidati dispongono che i contratti con i giocatori, quando siano considerati immobilizzazioni immateriali, debbano essere ammortizzati durante il periodo della loro utilizzazione, che corrisponderebbe in linea generale alla durata dei contratti stessi. Il contratto non può essere ammortizzato su un periodo più lungo della sua durata. Le direttive contabili dispongono inoltre che il valore contabile assegnato alle immobilizzazioni debba essere diminuito al loro valore effettivo alla data del bilancio qualora si ritenga che la diminuzione del loro valore avrà carattere permanente. La Commissione ha pertanto motivo di credere che la legge italiana contravvenga alle direttive contabili in quanto consente che i contratti con i giocatori, considerati immobilizzazioni immateriali, siano ammortizzati su un periodo più lungo della loro utilizzazione.


Inoltre, la Salvacalcio non è in sintonia con l’articolo 87 del Trattato della Comunità Europea che vieta gli aiuti di Stato alle aziende:


Per quanto concerne l’eventuale violazione dell’articolo 87 del trattato CE, relativo agli aiuti di Stato, il vantaggio concesso potrebbe essere definito un ammortamento accelerato, secondo la definizione utilizzata nella comunicazione della Commissione sulle misure di tassazione diretta delle imprese. Tale misura può comportare la rinuncia da parte dello Stato italiano, nei confronti di determinate società sportive, ad un gettito fiscale ricavato invece da altre società in analoga posizione finanziaria. Si assiste dunque ad una distorsione della concorrenza nonché ad un’incidenza sugli scambi intracomunitari. Alcune attività esercitate dalle società sportive si svolgono evidentemente sui mercati internazionali, si consideri ad esempio l’acquisto di giocatori e la vendita dei diritti di trasmissione per competizione europee quali la Champions League.

Come opportunamente fatto notare da Antonio Maglie (La disfatta, Limina) il problema, visto dall’Italia, è il doping amministrativo, visto da Bruxelles è il doping legislativo. La bocciatura definitiva alla Legge infatti non tarda ad arrivare. Il 14 marzo 2005 il commissario europeo sulla concorrenza, Mario Monti, boccia irrevocabilmente la Legge, deferendo l’Italia per infrazione:

Il decreto spalmadebiti, trovata della politica italiana per salvare nella stagione 2003 quattordici club di serie A e B dal fallimento, viola la direttiva comunitaria sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato, regole di contabilità generale. L’esecutivo dell’Unione Europea ha deciso: domani il decreto spalmadebiti sarà rinviato alla Corte di Giustizia. I quattordici club […] non potranno più spalmare su dieci anni, e su dieci bilanci, le perdite dovute alla svalutazione del patrimonio calciatori. È una novità di non poco conto. Le svalutazioni del 2003 sono state pari a 1.100 miliardi (di lire, nda), tra A e B. E i quattordici club ora dovranno ricapitalizzare, uno ad uno, per un totale di 550 milioni. […] in contemporanea con il deferimento arriverà una sospensiva di tre mesi: sono novanta i giorni concessi per trovare un compromesso che fermi il viaggio del decreto verso i giudici del Lussemburgo. (Repubblica, 15 marzo 2005)

Una stangata in piena regola che, come vedremo tra poco, non eviterà ai club italiani di ricorrere ad ulteriori escamotage pur di non dover ricapitalizzare.
Un’ultima constatazione va fatta riguardo a due obiezioni tipiche dei sostenitori delle squadre che hanno usufruito dello spalma-ammortamenti: la prima riguarda una presunta “utilità” sociale della Legge che, con il suo intervento, ha salvato il calcio dal crollo. Affidiamo la risposta ad uno stralcio tratto dal sito Calcioinborsa.com:

L’idea che vi sia da tutelare una qualche funzione sociale del calcio professionistico è priva di fondamento, tanto più mentre la finanziaria opera un “taglio” dei fondi provenienti dalle scommesse sul calcio stesso, destinati in misura preponderante, attraverso il Coni, a sostenere gli altri sport olimpici. Si tratta di una decurtazione pari a 52 milioni di euro

La seconda giustificazione è quella più classica e prevedibile: se è stata fatta una legge perché non usarla?
La risposta è semplice: le leggi possono anche essere sbagliate ed esiste un fenomeno, troppo frequente nel nostro paese, che prende il nome di legge ad personam. Va ricordato ancora una volta che la Salvacalcio è stata emanata dal governo Berlusconi (incidentalmente proprietario del Milan, di tre televisioni che trasmettono calcio, dell’agenzia pubblicitaria che si occupa della Nazionale italiana e “capo” di Adriano Galliani, sempre incidentalmente presidente di Lega) e fortemente voluta dal suo amico Franco Carraro, presidente di Federcalcio nonché di Mcc, ovvero la Banca d’affari del gruppo Capitalia, la quale ha “prestato” molti (molti) soldi ad alcune squadre di serie A. Come si poteva rinunciare ad un tale credito?

giovedì 7 febbraio 2008

Farsaportopoli: il passaporto di Recoba...

Tralasciando la storia calcistica di Recoba all'Inter e le cifre faraoniche sborsate da Moratti per tenersi un giocatore inconsistente.. veniamo al punto.
[...]
Il 14 settembre 2000, i calciatori dell’Udinese Warley e Alberto, in trasferta con la squadra, vengono fermati alla frontiera polacca a causa di irregolarità nei loro passaporti (In realtà il sindacato calciatori aveva già fiutato il problema molto prima: in una lettera del 3 dicembre 1998, il segretario Maioli aveva richiesto alla Federcalcio una lista dei calciatori extracomunitari con passaporto italiano, nonché le relative documentazioni. La Figc, il 3 febbraio 1999, rispose con un elenco incompleto in cui figuravano solo 15 nomi. Coda di paglia?). Passaporti che si rivelano falsi. Ma è solo la punta dell’iceberg: molti altri calciatori del nostro campionato sono in possesso di documenti fasulli e il fenomeno sembra essere assai diffuso. È il cosiddetto scandalo di “Passaportopoli”, nella cui rete finiscono sette società (Inter, Lazio, Roma, Milan, Udinese, Vicenza, Sampdoria), 14 giocatori (Recoba, Veron, Fabio Junior, Bartelt, Dida, Warley, Jorginho, Alberto, Da Silva, Jeda, Dedè, Job, Mekongo, Francis Zé) e quindici dirigenti (Oriali, Ghelfi, Baldini, Cragnotti, Governato, Pulici, Pozzo, Marcatti, Marino, Sagramola, Briaschi, Salvarezza, Mantovani, Arnuzzo, Ronca). L’Inter ne viene ufficialmente coinvolta il 30 gennaio 2001, quando il pm di Udine, Paolo Alessio Vernì, ordina un’ispezione nella sede della società e nell’abitazione milanese di Recoba: anche il suo passaporto risulta contraffatto.
A tale provvedimento via Durini risponde con un comunicato distaccato e sintetico: «La società è totalmente estranea all’oggetto dell’inchiesta ed ha totale fiducia nella buona fede di Recoba». Ma la realtà è molto diversa e la rivela il pm di Roma, Silverio Piro, che conduce le indagini sulla vicenda: il dirigente interista Oriali, su suggerimento del consulente della Roma, Franco Baldini, si è messo in contatto con un misterioso faccendiere rispondente all’esotico nome di Barend Krausz von Praag, il quale lo ha aiutato nell’ottenimento del documento. Oriali sarebbe volato di persona a Buenos Aires dove, grazie agli uffici di Krausz presso un’improbabile agenzia, avrebbe dato avvio alla pratica.
Recoba, interrogato al riguardo, dice di non saperne nulla e di essersi improvvisamente ritrovato con il passaporto pronto. Il documento, afferma il Chino, gli è stato consegnato da Oriali il 9 settembre 1999 alla Borghesiana, alla vigilia di un Roma-Inter di campionato. Ma per gli inquirenti ci sono due particolari che non tornano: il documento riporta una data di rilascio precedente di un anno, 9 novembre 1998, e Recoba risulta residente a Roma. Perché né Oriali, né Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato interista che ha seguito la pratica, si sono accorti di questa incongruenza? Perché nessuno, nemmeno il calciatore, ha fatto notare e ha richiesto di correggere l’errore? La procura di Udine informa anche che sette mesi dopo l’emissione del passaporto l’Inter si è mossa alla ricerca di antenati spagnoli. Perché questo eccesso di zelo da parte della dirigenza nerazzurra se il calciatore era già in possesso del documento? Il quadro si complica quando Oriali nega di aver versato per conto dell’Inter 80 mila dollari, cifra che Krausz, in un precedente interrogatorio della Procura di Roma, ha detto di aver ricevuto per mano sua.

La risposta è una sola: il passaporto è falso. Ma non solo, la dirigenza dell’Inter era pienamente consapevole del percorso fraudolento che stavano per intraprendere, dal momento che non è mai stata presentata alcuna richiesta di rilascio alle autorità italiane, come regolare prassi richiede.
Un caso complesso e intricato ma dalla sostanza semplice: se il passaporto del laziale Veron era vero ma ottenuto attraverso false documentazioni (atti di nascita, matrimonio, ecc…), quello dell’uruguaiano è direttamente contraffatto. Una patacca, direbbero a Roma.
Dopo le sconcertanti rivelazioni delle Procure di Roma e Udine, arrivano le sdegnate reazioni del mondo sportivo. C’è sdegno e le società non coinvolte nella questione passaporti protestano. Andrea Manzella, presidente della Corte Federale, cerca di rassicurare tutti sulla velocità e sul rigore degli eventuali procedimenti disciplinari. Ma il risultato è patetico:

“La regolarità delle partite è un bene assoluto, e su questo non si transige: la buona fede di società o singoli non conta, conta solo che alle gare abbiano partecipato giocatori che non ne avevano diritto. L’Authority ha deciso di aspettare la dichiarazione di falsità della magistratura a meno che il falso risulti macroscopico, ictu oculi, o che vi sia ammissione di colpa del club o del giocatore”, ha spiegato Manzella. “In questi casi, le sanzioni saranno immediate”. Fra una decina di giorni anche l’Inter quindi sarà deferita, e il processo sportivo si concluderà, fra Disciplinare e Caf, entro aprile o maggio. Difficile ipotizzare la sconfitta a tavolino di tutte le gare dei nerazzurri con Recoba “italiano”, più probabile una penalizzazione in classifica di 56 punti. Nel caso, quindi, l’Inter dovesse qualificarsi per la Coppa Uefa sarebbe retrocessa in classifica, lasciando il posto in Europa ad un altro club. E nel caso si salvasse? Questione delicatissima, ma teoricamente il club di Moratti rischierebbe anche la serie B” (Repubblica, 9 febbraio 2001)

L’Inter, secondo i regolamenti, dovrebbe essere sconfitta a tavolino ed essere sanzionata di un punto per ogni partita in cui ha schierato Recoba come comunitario. Il totale ammonterebbe all’enorme cifra di 56 punti, con la conseguente retrocessione del club nerazzurro, sia che il provvedimento venga applicato nel campionato precedente (il 1999/2000, dove ha ottenuto 58 punti) che in quello ancora in corso (il 2000/2001, a fine anno ne totalizzerà 51). Con una tale penalità l’Inter sarebbe la prima squadra a scendere sotto lo zero in classifica. Ma è pura fantascienza e ci si rende conto che una tale sanzione, seppur giusta, non verrà mai applicata. Si parla di penalizzazioni o, per lo meno, si spera:

Roma, Lazio, Inter, Udinese e Napoli penalizzate. Cinque, sei punti in meno ad ognuna all’inizio della prossima stagione, quella premondiale; oppure con handicap sostanzialmente differenti, stangate per i casi più gravi di manomissione (Veron, Recoba, Cafu) […] Nei fatti però, quasi la metà del prossimo campionato italiano sarà “ad handicap”, consegnato nelle mani di chi dallo scandalo non è stato travolto. […] Di colpo di spugna si è parlato a lungo. Ma non si può ormai cancellare uno scandalo che ha investito almeno sei procure, una ventina di giocatori e una quindicina di dirigenti, dal direttore generale dell’Inter ai presidenti di Roma e Lazio. Non si può cancellare uno scandalo che la Fifa stessa chiede di reprimere duramente. Non si possono chiudere gli occhi quando in Francia hanno già penalizzato delle squadre e in Spagna si sono già sospesi dei giocatori (Repubblica, 21 marzo 2001)

Il 5 marzo l’Ufficio Inchieste della Federcalcio conclude le indagini ed emana i deferimenti:

La giustizia sportiva, con i deferimenti di ieri, va avanti. Nessun colpo di spugna, nessuna sanatoria. Non si aspetterà l’estate, a campionato concluso, per intervenire sullo scandalo dei passaporti falsi. Già nel mesi di aprile sfileranno davanti alla Disciplinare i primi club e i primi giocatori coinvolti: le sanzioni (squalifiche per i calciatori e penalizzazioni in classifica per i club) saranno scontate in questa stagione (ibidem, 6 marzo 2001)

Il processo si annuncia complicato e le conseguenze spaventose: l’applicazione di punti di penalizzazione potrebbe compromettere la salvezza o la qualificazione alle coppe europee delle società coinvolte. Ma c’è una scappatoia, alla quale più di tutti sta lavorando Galliani, l’amministratore delegato del Milan: la riforma dell’articolo delle norme federali che limita l’impiego dei calciatori extracomunitari. Una modifica della regola comporterebbe un’attenuazione molto sostanziosa delle pene. L’Inter gradisce l’idea e si unisce alla battaglia:

Passaporti, è guerra aperta ormai: l’Inter attacca la Figc, cercando ogni strada per dichiarare illegittimo l’articolo 40, settimo comma delle Noif. In una nota del professor Mucciarelli, che fa parte del collegio di difesa nerazzurro, l’Inter sottopone infatti “direttamente alla Corte Federale, organo competente in materia, il giudizio in ordine alla legittimità della norma federale sul tesseramento dei giocatori extracomunitari” (ibidem, 5 aprile 2001)

La Commissione Disciplinare fissa le date dei processi contro ogni singola società. Il presidente Manzella, ancora una volta, si sente di garantire la celerità dei procedimenti giudiziari, ma nessuno sembra più credergli dato che la rettifica della norma sugli extracomunitari appare giorno dopo giorno sempre più probabile. La vicenda sta diventando una farsa:

Per Porceddu le prove sono sufficienti per chiedere di processare il club nerazzurro e il giocatore. L’udienza è fissata per il 19 aprile. A meno che i tanti ricorsi alla Corte Federale sulla legittimità della norma che limita gli extracomunitari facciano slittare tutto a fine campionato, come vogliono i club. “Agiremo in fretta non appena riceveremo i ricorsi”, garantisce Manzella. (ibidem, 8 aprile 2001)

Tuttavia un procedimento unico consentirebbe alle società di essere giudicate con minore severità. Ed è proprio quello che intende proporre Galliani, il quale provvidenzialmente annuncia: «È giusto fare un solo processo e che eventuali squalifiche e penalizzazioni arrivino tutte insieme».
Puntuale giunge il ricorso alla Corte Federale da parte dei club, e poco importa se l’articolo 16 comma b) del Codice di Giustizia Sportiva preveda l’ammissibilità del ricorso solo da parte del presidente della Federazione o di «qualsiasi organo operante nell’ambito federale che vi abbia interesse». Moratti si schiera con Galliani (altri tempi…) e rilascia una dichiarazione che, col senno di poi, si rivela incredibilmente comica: «Se squalificano Recoba e poi la giustizia ordinaria lo assolve, chi ci restituisce squalifiche e penalizzazioni?» (È incredibile come tutti i personaggi coinvolti nella vicenda si appellino al pronunciamento della giustizia ordinaria (vedi anche Cragnotti con Veron). Allo scoppio di Calciopoli, invece, nessuno ha atteso il concludersi dell’iter giudiziario: le sentenze sono state emesse in due settimane. E se la giustizia ordinaria assolve Moggi e Giraudo, chi restituisce alla Juventus la serie A e gli scudetti?). Come vedremo più avanti, Recoba e Oriali verranno condannati dalla giustizia ordinaria e l’Inter non restituirà i punti ottenuti con l’uruguaiano comunitario in campo. In ogni caso, la tattica è precisa: ottenere l’accorpamento dei processi e rimandarne lo svolgimento a fine stagione, confidando nell’ormai quasi certa rettifica dell’articolo 40. Il gioco funziona e l’udienza per l’Inter, in programma il 20 aprile, viene rinviata:

Avanti a forza di rinvii: il processo all’Inter, per il passaporto falso di Recoba, si farà. Ma più avanti. Quando non si sa: forse a maggio, forse a fine stagione. Ma soltanto dopo che la Corte Federale, presieduta da Andrea Manzella, si sarà pronunciata sul ricorso (che abbiamo visto essere irregolare, nda) presentato non solo dal club nerazzurro, ma anche da Milan, Udinese, Lazio, Vicenza e Sampdoria. Tutti questi club chiedono infatti che venga abbattuto il tetto del tesseramento (massimo cinque) e all’impiego (massimo tre) dei calciatori extracomunitari. Si va insomma verso minicondanne. La Disciplinare ieri ha accettato subito la richiesta di rinvio al processo dell’Inter presentata dallo stesso Procuratore Federale, Carlo Porceddu in accordo con i legali nerazzurri. (Repubblica, 20 aprile 2001)

Il tempo gioca a favore dei nerazzurri e delle altre società implicate in Passaportopoli. Società che il 3 maggio 2001 vedono finalmente premiati i loro sforzi, con il più annunciato dei colpi di spugna: a sei giornate dalla fine del campionato e nonostante la strenua opposizione dell’Associazione Calciatori presieduta da Campana, arriva la modifica della norma sul tesseramento e sull’impiego degli extracomunitari. E pazienza se le regole vengono cambiate in corsa, con Roma e Juventus a contendersi lo scudetto punto su punto. Chi ha rispettato le regole viene fatto fesso. E chi ha falsificato i passaporti? Ormai è chiaro che tutto sta per passare in cavalleria:

Il processo a Inter, Milan, Samp, Udinese, Vicenza, a cui presto si unirà anche la Lazio per Veron, si farà. Ma con questa norma dichiarata illegittima, le sanzioni saranno più blande. Qualche minisqualifica da scontare magari in estate. Quando il campionato è fermo. (Repubblica, 5 maggio 2001)

Il processo, come desiderato, inizia il 12 giugno 2001 a campionato praticamente finito (il 17 è in programma l’ultima giornata) e con la certezza di un dibattimento e di una sentenza unica. Con all’orizzonte la più classica delle soluzioni “all’italiana” qualcuno crede ancora nella giustizia, ma è solo l’ultimo, disperato, grido:

Delicatissima, quasi disperata, la situazione dell’Inter, dove c’è un coinvolgimento diretto dell’amministratore delegato Ghelfi e del direttore sportivo Oriali. Recoba ha scaricato su di loro ogni responsabilità per quel falso passaporto italiano: ma per Porceddu (procuratore federale, nda), l’uruguaiano, ex italiano Recoba è colpevole di slealtà e quindi anche per lui chiederà due anni di squalifica. (Repubblica, 13 giugno 2001)

Il 27 giugno arrivano le sentenze, che confermano le previsioni della vigilia. Squalifiche solo ai calciatori, alle società un buffetto sulla guancia (leggi ammende pecuniarie). L’Inter se la cava con una multa di due miliardi, Recoba e Oriali sono squalificati per un anno, Franco Baldini per nove mesi (Krausz non viene processato in quanto non tesserato alla Federcalcio). Ovviamente assolto l’amministratore delegato nerazzurro Rinaldo Ghelfi, al quale era stata addebitata la responsabilità diretta. In questo modo sono scongiurate le tanto temute penalizzazioni in classifica.

Vediamo, caso per caso, le motivazioni della sentenza della Commissione Disciplinare della Lega Calcio. Partiamo da Recoba:

il passaporto italiano del calciatore non risulta essere mai stato rilasciato dalla Questura di Roma, Il Recoba non aveva alcun titolo al rilascio di un passaporto italiano per assoluta inesistenza in capo allo stesso dei presupposti indispensabili, ed in primo luogo alla cittadinanza italiana. A siffatta conclusione si perviene […] sulla base delle sole dichiarazioni rese dal calciatore all’Ufficio Indagini ed alla Procura della Repubblica di Udine. […] Il calciatore ha inoltre escluso di aver mai svolto alcuna pratica od inoltrato alcuna richiesta tendente al rilascio di un passaporto italiano.

La Disciplinare riconosce quindi la falsità del documento e l’estraneità del calciatore dal processo di contraffazione. Tuttavia Recoba è da considerarsi comunque colpevole poiché non poteva essere completamente all’oscuro di quello che stava succedendo e perché avrebbe dovuto quantomeno domandarsi la ragione delle irregolarità presenti nel documento (l’indirizzo di residenza e la data di rilascio):

In nessun caso il calciatore avrebbe potuto confidare nella veridicità “ideologica” del passaporto italiano che gli venne consegnato alla Borghesiana il 12 settembre 1999 dall’Oriali. [ciò costituisce] grave violazione dei principi di lealtà, probità e rettitudine alla cui osservanza sono tenuti tutti i destinatari delle norme federali, come dispone l’art.1 del C.G.S.
Si tratta infatti di utilizzare mezzi scorretti, o addirittura fraudolenti, al fine di ottenere il riconoscimento di un titolo non spettante, traendone un indebito vantaggio. È superfluo il sottolineare, in proposito, che il fatto di diventare “comunitario” ha recato benefici non solo economici sia al calciatore, quanto meno sotto il profilo della libertà assoluta di circolazione del tesserato nell’ambito delle Federazioni comunitarie, sia alla Società di appartenenza, per una migliore utilizzazione dell’organico disponibile. […] La sconcertante faciloneria con cui Recoba, sebbene “stupito” di aver ottenuto un passaporto italiano, se ne è servito perché gli conveniva acquisire lo status di comunitario, assume, alla luce delle considerazioni sopra svolte , un significato probatorio decisivo ai fini dell’accertamento della partecipazione attiva e pienamente consapevole del tesserato alla realizzazione dell’illecito.

Per quanto riguarda Oriali:

risulta dagli atti che questi, all’inizio della collaborazione con l’Internazionale a giugno 1999, apprese che la Società aveva interesse alla variazione di status del Recoba da extracomunitario a comunitario e che a tal fine era stato interessato uno studio legale spagnolo, le cui ricerche si erano però arenate, trattandosi di pratica complicata che richiedeva in ogni caso, tempi molto lunghi.
Risulta altresì che l’Oriali si interessò della questione Recoba assumendo concrete iniziative finalizzate al conseguimento della variazione di status del calciatore, prendendo contatto con il Baldini per conoscere “come facevano alla Roma per i passaporti” e chiedergli l’indicazione di qualcuno che potesse aiutare l’Internazionale a modificare lo “status” del Recoba. Avuto dal Baldini il nominativo del Krausz (da lui peraltro già conosciuto), l’Oriali si attivò per l’avvio della “pratica”, seguendone poi lo svolgimento sino alla conclusione. Egli provvide infine a consegnare a Recoba, il 12 settembre 1999, il passaporto italiano che gli era stato appena fornito dal Krausz.

A carico dell’Oriali gravano elementi di accusa:

a) fu l’Oriali a ricevere il passaporto dal Krausz. Prima di consegnarlo a Recoba, egli ebbe modo di esaminarlo e di rilevare che la data di emissione risaliva al 9 novembre 1998, cioè quasi un anno prima del giorno della consegna […]
b) Oriali ebbe anche modo di rilevare, esaminando il passaporto, che dal documento Recoba risultava residente a Roma, circostanza non corrispondente al vero, e che sul passaporto era applicata una fotografia del Recoba di cui egli “non sapeva nulla”.
c) fu l’Oriali ad incaricare Krausz dello svolgimento della “pratica” in Argentina e ad autorizzare, dopo aver ottenuto l’assenso della Società, il versamento della somma di 80.000 dollari pretesi dalla Liliana Rocca quale compenso per l’ottenimento del passaporto.
d) fu l’Oriali a promuovere un incontro con Baldini, alla presenza di Ghelfi, nel corso del quale venne chiesto al Baldini di assumersi tutta la responsabilità dell’operazione […]
e) l’Oriali, essendo a conoscenza dei precedenti infruttuosi tentativi svolti in Spagna per il conseguimento della cittadinanza comunitaria del calciatore, non poteva confidare nella correttezza e regolarità di un passaporto italiano di Recoba ottenuto in Argentina da una non meglio precisata “agenzia”, in tempi a dir poco fulminei, dal momento che egli sapeva che da parte di Recoba non era stata presentata ad alcuna autorità italiana la domanda di rilascio del passaporto.

Secondo quest’ultimo punto la responsabilità di Oriali è gravissima: egli infatti ben conosceva le lungaggini burocratiche che comportavano pratiche di questo tipo e ne aveva fatto esperienza in Spagna, durante l’inutile ricerca dell’avo di Recoba. Oriali, il quale non ha mai avanzato richiesta di rilascio in Italia, non poteva essere così ingenuo da credere che un passaporto ottenuto in un mese, e in Argentina, potesse essere regolare:

L’affermazione dell’incolpato, di non essere stato consapevole della pretesa illegittimità del documento e di non aver dubitato della correttezza delle persone alle quali aveva affidato, per conto della Soc.Internazionale, lo svolgimento della “pratica”, si riduce a mera allegazione difensiva priva di effettivo riscontro, che non intacca minimamente il completo e convincente quadro probatorio raccolto a suo carico.

Stabilita la colpevolezza di Oriali (la quale chiama pesantemente in causa anche Franco Baldini) rimane da sciogliere il nodo più importante: il ruolo di Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato dell’Inter. Il suo coinvolgimento è fondamentale perché comporta la responsabilità diretta da parte della società nerazzurra. Secondo l’art.8, comma 6 del Codice di Giustizia Sportiva infatti:

La violazione delle Norme Federali in materia di tesseramenti di calciatori extracomunitari compiuta mediante falsa attestazione di cittadinanza costituisce grave illecito sportivo. Le Società, i loro dirigenti, soci e tesserati che compiano direttamente o tentino di compiere, ovvero consentano che altri compiano, atti volti ad ottenere attestazioni o documenti di cittadinanza falsi o comunque alterati al fine di eludere le norme in materia di ingresso in Italia e tesseramento di calciatori extracomunitari, ne sono responsabili e sono puniti ai sensi dei commi 7 e 8 seguenti. (Il comma 7 parla della responsabilità diretta e rimanda alle sanzioni previste dall’art.13, lettere f), g), h) i), nda)

La falsificazione di un documento costituisce quindi “grave illecito sportivo” e, in caso di responsabilità diretta, le pene sono severe: (in ordine decrescente di gravità) revoca di eventuali titoli conquistati (non è il caso dell’Inter), esclusione dal campionato di competenza, retrocessione in serie B, penalizzazione di punti in classifica.
La sentenza della Disciplinare parla apertamente dell’attiva partecipazione di Ghelfi ma lo fa con una marchiana contraddizione. Dapprima informa che l’amministratore delegato si sarebbe interessato del passaporto solo a rilascio ottenuto:

Al sig. Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato alla Soc.Internazionale, viene contestata la partecipazione alla illecita condotta posta in essere dai tesserati della sua Società, Recoba ed Oriali in concorso con Baldini e con terzi non tesserati. Peraltro, dagli accertamenti svolti in sede di indagini risulta un intervento diretto del Ghelfi nella vicenda soltanto nel maggio 2000, momento in cui era divenuta di pubblico dominio la notizia di possibili irregolarità riguardanti il conseguimento dello status di comunitario da parte del calciatore della Lazio Veron.

Quindi, poche righe dopo, viene affermato che Ghelfi era ben cosciente fin dall’inizio di cosa comportasse l’avvio della pratica in Argentina. Oriali, infatti, non ha interessi personali ad ottenere un passaporto per Recoba, ma si è mosso solo in seguito a precise indicazioni societarie:

Oriali, non essendosi attivato per il passaporto di Recoba a titolo meramente personale, deve aver tenuti informati i vertici della Società sull’andamento della pratica. Dagli atti risulta che almeno in due momenti Oriali deve essersi consultato con i propri superiori: il primo quando si trattò di dare il “via” alla pratica in Argentina ed il secondo quando si trattò di effettuare su indicazione di Krausz, il bonifico di 80.000 dollari, che doveva essere autorizzato dai vertici societari.

Quindi, se Oriali sapeva della contraffazione del passaporto e non poteva non considerare 80 mila dollari una cifra spropositata, ci si chiede che cosa abbia detto a Ghelfi per ottenere il via libera all’operazione e il pagamento dell’importo. Inoltre, la sentenza rivela che la somma fu pagata “in nero”, fatto che aggrava ulteriormente la posizione dei vertici dirigenziali interisti. È infatti difficile immaginare che Oriali abbia sborsato, di tasca sua e di sua iniziativa, 80 mila dollari:

l’inesistenza nei libri contabili della Società di un pagamento di tale importo potrebbe significare che alla liquidazione del compenso si sia provveduto in forma non ufficiale, cosa che costituirebbe un ulteriore indizio di responsabilità a carico dei referenti di Oriali.

Il quadro accusatorio è quanto mai chiaro. Ci sono tutti gli estremi per un coinvolgimento diretto dell’Inter, a meno che non si considerino i suoi dirigenti incapaci di intendere e di volere. La Disciplinare, invece, non se la sente di affibbiare tale responsabilità all’Inter (=gravi sanzioni) e la sentenza, da una riga all’altra, cambia completamente registro, assolvendo miracolosamente Ghelfi:

Dagli atti, tuttavia, non è desumibile alcuna circostanza che faccia riferire al Ghelfi, in modo certo ed inequivoco, l’adozione di decisioni in tal senso, non potendosi escludere in modo assoluto l’ipotesi che altri soggetti abbiano provveduto nei predetti termini.
Ritiene pertanto la Commissione che il sig.Rinaldo Ghelfi debba essere prosciolto dall’addebito. La Soc.Internazionale risponde dell’operato dei propri tesserati Recoba ed Oriali a titolo di responsabilità oggettiva.

Con una ridicola motivazione, che sarà superata in assurdità solo da quella di Calciopoli, la Disciplinare alleggerisce l’Inter da ogni imputazione. Secondo la sentenza, quindi, Oriali avrebbe fatto tutto da solo: non ha avvisato nessuno e ha pagato personalmente gli 80 mila dollari. Peccato che in sede di interrogatorio egli abbia negato di aver mai pagato quella somma. Niente male come dirigente.
Il 22 luglio la Caf conferma i verdetti di primo grado e l’Inter incredibilmente annuncia di sentirsi danneggiata. La protesta ufficiale del club è da circo delle comiche:

La pronuncia della Caf è iniqua in fatto, poiché non è stata riconosciuta l’evidente buonafede del Recoba e dell’Oriali, e in diritto, perché si è voluto punire il preteso tesseramento come comunitario del calciatore, nonostante la dichiarazione di illegalità della norma che discriminava i giocatori extracomunitari. Pare clamoroso che la pretesa violazione dei doveri di probità sia stata giudicata ben più grave dei casi di doping esaminati dalla Caf (in riferimento ai casi di Bucchi e Monaco, nda)

I lamenti interisti funzionano e, ad ottobre, la Camera di Conciliazione del Coni dà l’ultima pennellata al quadretto, riducendo la squalifica di Recoba a 4 mesi (il quale la sconta per metà in estate), quella di Oriali a 6 e abbassando l’ammenda alla società a un miliardo e quattrocento milioni. Ma manca ancora il responso della giustizia ordinaria per mettere la parola fine alla vicenda. Il 25 maggio 2006, sette anni dopo il fatto contestato, il Tribunale di Udine condanna Oriali e Recoba, i quali ammettono la falsificazione dei documenti (spunta anche una patente “taroccata” del calciatore) e patteggiano la pena:

ANSA – Il Gip del Tribunale di Udine, Giuseppe Lombardi ha accolto la richiesta di patteggiamento dell'attaccante uruguayano Alvaro Recoba dell'Inter e del dirigente nerazzurro Gabriele Oriali, infliggendo la pena di sei mesi di reclusione ciascuno (sostituita con una multa di 21.420 euro) per i reati di concorso in falso e ricettazione nell'ambito dell'inchiesta sulle procedure seguite per far diventare comunitari giocatori che non avevano antenati in Europa. Nell'inchiesta, divisa in vari filoni, sono coinvolte 31 persone fra le quali 12 calciatori. Oltre al concorso in falso per l'assenza di antenati in Europa, a Recoba e Oriali l'accusa contesta il reato di ricettazione relativo alla patente italiana ottenuta dal calciatore uruguayano, che faceva parte di un gruppo di documenti rubati negli uffici della Motorizzazione di Latina.

La farsa si è finalmente conclusa: Oriali, che in sede sportiva ha negato di essere consapevole della contraffazione, si dichiara colpevole patteggiando la condanna in sede penale.
Una storia patetica che ha ancora due appendici nell’estate del 2006. Dopo la condanna del Tribunale di Udine alcuni tifosi della Juventus si accorgono di un dettaglio della storia colpevolmente trascurato: un passo della sentenza del Tribunale friulano («non è infine pensabile che l’Oriali possa aver agito da solo, senza avvertire del suo operato i dirigenti suoi diretti superiori») riafferma la responsabilità diretta della società nel conseguimento del passaporto (d’altra parte ammessa e poi negata nelle motivazioni della Disciplinare). Ciò costituirebbe un nuovo elemento di indagine tale da poter condurre alla riapertura del procedimento disciplinare, secondo l’articolo 18 comma 3 del Codice di Giustizia Sportiva: «L'apertura di una inchiesta, registrata con data certa da parte dell'Ufficio indagini o di altro organismo federale, interrompe della prescrizione. La prescrizione decorrere nuovamente dal momento della interruzione». Consci di questa possibilità, i tifosi inviano un esposto in Federcalcio per chiedere la revisione delle sentenze dei procedimenti sportivi. La documentazione viene poi girata al capo Ufficio Indagini della Figc, Francesco Saverio Borrelli, al quale spetta l’incarico di approfondire le nuove circostanze emerse. La notizia giunge al quotidiano Tuttosport che per alcuni giorni parla dell’iniziativa. Ma è solo un fuoco fatuo: nessuno ha voglia di sporcarsi le mani e di andare contro ai nuovi padroni del calcio italiano dopo la farsa di Calciopoli, Massimo Moratti e Marco Tronchetti Provera.

Il 26 luglio, durante un telegiornale Rai viene annunciato che, in seguito alle sentenze d Calciopoli, lo scudetto 2005/06 è stato assegnato all’Inter. Per raccogliere le reazioni dell’ambiente nerazzurro si apre un collegamento con Brunico, dove la squadra sta per disputare un’amichevole. A rispondere alle domande dell’inviato c’è Gabriele Oriali, il quale parla di “scudetto dell’onestà”. Proprio quell’Oriali che due mesi prima ha patteggiato la pena per truffa e ricettazione… Senza vergogna.

si ringrazia il dr. zoidberg